Piccola grande traversata delle Dolomiti Friulane con gli sci.

Giorno 1: Forni di sopra – Forcella Cason- Biv. Marchi-Granzotto – Forcella Monfalcon – discesa verso il rif. Padova- risalita Forcella Monfalcon- Marchi-Granzotto. 8 ore, 2000 D+, 700 D-

Giorno 2: Biv. Marchi-Granzotto – Forcella Monfalcon e discesa verso il Padova – FORCELLA MONTANAIA – Forcella Monfalcon – Biv. Marchi-Granzotto – Forcella Monfalcon – Forcella Las Busas – Forni di sopra 8 ore 1250 D+ 2450 D-

Piccoli grandi sogni che si avverano. Un paio di volte d’estate mi era capitato di percorrere forcella Montanaia lato nord (quello del cadore) per intenderci. Affascinatissimo dall’ambiente unico, è uno dei miei posti preferiti. Il sogno di sciare questo canale è sempre rimasto nel cassetto, sempre troppo qualcosa per pensarci anche. E all’improvviso, così, si è realizzato. Non solo, si è realizzato nel modo per NOI migliore possibile, all’avventura.

L’avventura è ciò che spinge me e Igor ad organizzarci gite. Lo scialpinismo è lo sport che ci permette di legare l’ambiente che amiamo con la nostra follia bambina ed esploratrice. E’ così che siamo partiti questo weekend. Con la voglia di stare in giro, sciare, faticare, esserci. Venerdì siamo come al solito in fase organizzativa. Decidiamo per le Dolomiti Friulane che io ho visitato giovedì. Ci diamo un’idea di traversata sognatrice, ben consci dei possibili e probabili ostacoli.

Sabato alle 9 siamo in partenza da Forni di sopra. Siamo pronti a (quasi) tutto, attrezzati per stare via due giorni al freddo. L’unica cosa che non abbiamo con noi sono i ramponi, riteniamo non ci serviranno. Gli zaini sono come sempre cugni troppo pesanti per essere veri. MA che cazzo c’è dentroooooo. Con noi c’è anche PAULO, storico amico di Igor.

Ci incamminiamo verso il rifugio Giaf. Sento che io e Igor abbiamo programmato la giornata molto bene. Abbiamo un piano, forse difficile, ma con diverse scappatoie. Son tranquillo. Risaliamo la strada ampiamente battuta da sciatori ed escursionisti. Pian pianino usciamo dal bosco e il grande anfiteatro sopra Forni si apre maestoso. Osserviamo e nominiamo le forcelle mentre altri sci alpinisti iniziano la loro avventura giornaliera. Prendiamo quota velocemente e dopo diversi pendolini sul pendio, deviamo a destra verso la stretta e ripida forcella del Cason.

Una sola figura ci precede, mentre gli altri si allontanano verso sinistra. Mi diverto a descrivere la neve e ad osservare e far notare agli altri le mie vecchie tracce. Si perché giovedì ero esattamente qua. La neve è cambiata. E’ più dura e ancor più trasformata. Bene per il pericolo, male per la sciata.

Una bella scarpinata di 1300 D+ ci fa guadagnare l’altipiano sopra forcella del Cason. Il sole a sud è forte e lo apprezziamo. Ci fermiamo a magnar e salutiamo Paulo che scende sciando forcella Las Busas. Aspettiamo di vederlo scendere prima di proseguire. Ci guardiamo in giro. Un paio di tracce di sciatori si discostano dal tragitto normale ma non escono dalla nostra visione. La neve verso il Marchi-Granzotto è linda, pulita. Ci lanciamo in discesa, sciando 200 metri su una neve morbida e piacevole. Andiamo fino a sotto il bivacco, troppo bella la sciata. Entriamo nel catino della val di Monfalcon di Forni. Che luogo magico. Anche solo il nome mi fa impazzire. Adorabile!

Individuiamo la via più breve e sicura per raggiungere il bivacco in un avvallamento alla sua destra. Ripellando (la prima di tante volte), raggiungiamo il Marchi-Granzotto in fretta. Non c’è traccia di genere umano passato di qui nelle ultime settimane. Zero tracce, zero di zero. Sbirciamo dentro. Ci sono materassi e coperte e ne siamo ben felici. Mangiamo, beviamo e programmiamo. Sono le 13 passate. La nostra intenzione è di provare a raggiungere il biv. Perugini, i tempi sono stretti. Senza cazzeggiare, rimettiamo gli sci e ripartiamo.

Nel catino sotto la forcella lo spettacolo è unico. Il sole ci accompagna mentre apriamo una traccia a zig zag in salita su un pendio disastrato e modellato dal vento. Qui ha soffiato tanto e forte. Si vedono accumuli grandi e piccoli. Con attenzione, cercando la via più sicura, raggiungiamo forcella Monfalcon di Forni. Un vento gelido e modesto ci accoglie, assieme al mare di montagne pazzesche. Una delle viste più belle di queste zone. Le guglie sono in parte a noi, piene, stracolme di neve. Ci affacciamo verso il Rifugio Padova dove si vede la valle esposta ad ovest. Buia e non ancora illuminata dal sole. Sembra isolata, inesplorata, sola.

Ovviamente anche qui, siamo i primi a passare. Non si vede anima viva e non solo. Nessuna traccia di umani passati dopo la nevicata. Qualche traccia di gatto delle nevi che salta sul manto nevoso. Bon, andiamo????

Ci lanciamo in discesa di nuovo. Il primo tratto è mediamente ripido. La neve è pesante ma la sciata è buona e bella. Ci facciamo delle belle curve, galvanizzati dall’ambiente straordinario solo per noi. Che sensazione pazzesca. Mi sento un vecchio esploratore. Scendiamo la valle con timore, con riverenza. Stiamo sulla sinistra, cercando di non scendere più del duvuto. Forcella Montanaia è lì a sinistra in alto ma l’attacco è ancora ben lontano, sotto di noi.

A sinistra scendono ghiaioni immensi ricoperti di tonnellate di neve. Si vedono pendii stracarichi e poco invitanti. Immenso. Ideiamo una traccia cercando un mix fra sicurezza e neve decente per sciare, dando ovviamente priorità alla prima. Continuiamo a scendere a sinistra, cercando di restare alti per beccare l’acceso il più in alto possibile. Davanti a noi compaiono L’Antelao e il Pelmo. Igor si rifiuta di credere che possano essere loro. Sarebbe troppo speciale. Invece è proprio così, siamo fortunati.

I nostri sci continuano a creare disegni sulla neve mentre il tempo passa senza che neanche ce ne accorgiamo. Raggiungiamo il canale che scende da forcella Montanaia. In alto a destra si vede l’uscita con un cornicione che sembra grande anche da così lontano. Ci guardiamo ridendo, ben consapevoli di cosa significa. Poi mi viene un dubbio e decidiamo di controllare. Qualcosa non mi quadra, l’uscita dovrebbe essere a sinistra e non si dovrebbe vedere da sotto. Detto fatto, siamo nel posto sbagliato! Che polente, come al solito. La realtà è che dobbiamo proseguire ancora un po’ verso il rif. Padova perché forcella Montanaia è quella dopo. Dubbiosi, pensiamo al da farsi. Questo lato delle montagne è particolarmente selvaggio. Percepisco pericolo anche dove non c’è. Si respira una solitudine enorme. E’ una sensazione che non so perché, ma mi piace molto. Da un lato mi inquieta, dall’altro mi da un senso di libertà unico. Sai che non c’è nessun altro in giro lì vicino. Succede qualcosa, sono fatti tuoi.

Decidiamo di pellare e di fare comunque un tentativo per accedere al canale giusto. Invece di scendere ancora sciando verso valle, attraversiamo il pendio per accedere a Montanaia nel punto più alto possibile. Il traverso non è la scelta migliore sicuramente, ma lo passiamo distanziati e in velocità senza problemi. Ed eccoci, sotto il mio piccolo grande sogno.

Sono le tre di pomeriggio. E ora, che facciamo? Con i tempi saremmo anche a posto nel senso che ci vuole circa un’ora o poco più per raggiungere la forcella e di lì poca discesa per arrivare al bivacco, ma se qualcosa andasse storto? Dal lato nord, in alto, sappiamo potrebbero esserci casini e non sarebbe il massimo non riuscire a passare di là. Ci prenderebbe il buio in discesa, non sarebbe proprio il caso. L’alternativa è ritornare indietro. Risalire nuovamente forcella Monfalcon e ritornare al Marchi-Granzotto. Forse forse ce la potremmo fare anche prima del buio. Il vantaggio enorme è che basterebbe riseguire a ritroso le nostre tracce. Quindi?

Riflettiamo diversi minuti. Chiacchieriamo, tiriamo fuori pro e contro. Mi piace tantissimo quando siamo pensatori. Alla fine il discorso è chiaro. Salire Montanaia ora sarebbe un rischio sicuramente. Lo vogliamo prendere? La risposta è no e anche senza troppo fronzoli. E allora via, dietrofront.

Nel frattempo il clima sta cambiando. Non è particolarmente freddo e soprattutto il sole inizia a fare capolino verso il margine alto delle montagne esposte ad ovest. Colora le Dolomiti tanto da rendere difficile distogliere lo sguardo. Noi ci rimettiamo in marcia con un occhio ai colori a sinistra e ai pendii a destra. Siamo anche stanchi. Sono passate ormai più di 6 ore e il nostro corpo li sente tutti. Gli zaini sono sempre pesanti e la fatica inizia a fare il suo. Ed è qui che io mi emoziono.

Più sono stanco, più mi viene voglia di andare avanti. Batto traccia risalendo un pendio ripido a zig-zag. Igor mi segue senza battere ciglio. Siamo in silenzio, immersi nei nostri respiri pesanti. Ogni tanto ci guardiamo, facciamo qualche faccia strana. Ogni tanto parte qualche waooo alternato a qualche verso anomalo dopo aver bevuto il tè. Come macchine, risaliamo la valle scegliendo le pendenze meno accentuate e i punti più sicuri. Ci avviciniamo alla forcella mentre davanti a noi le montagne si accendono totalmente. Ma che colore hanno? Difficile non guardarle all’infinito. Mi perdo via a fare 180 mila foto mentre Igor mi passa e inizia a risalire l’ultima ripida parte prima della forcella.

Urlo guardando le nostre tracce di discesa, urlo guardando dietro di noi i nostri zig-zag in salita. Urlo guardando le montagne davanti. Urlo guardando L’Antelao, pazzesco dietro di noi. Il Pelmo in confronto sembra una montagnetta. Davvero emozionante questo tratto di risalita al tramonto. Arriva, finalmente, anche il sole su di noi. Mi accorgo che Igor ha preso il largo, mentre io continuo a ciondolarmi e perdermi nel guardare e immortalare panorami ufo. Pausa merenda, prima dell’ultimo sforzo. Tiro un’accelerata per raggiungere Igor e dargli il cambio a battere traccia. Ci rimango quasi secco, ma è figo così.

Gli ultimi metri sono i più duri e l’uscita in forcella arriva dopo quaranta pendolini in 4 metri. Il sole non ci illumina più quando siamo in forcella, a 2292 mt. Il tramonto è….. non so come descriverlo. Noi, cotti, siamo presi dalla voglia di arrivare in bivacco, mescolata alla voglia di rimanere quassù all’infinito. Via le pelli, cambio assetto a sci e scarponi e siamo pronti per l’ultima fatica. Ormai il sole non si vede più, ma il bianco della neve luccica e si vede ancora decisamente bene. Tiriamo comunque fuori le frontali. Spunta anche la luna dietro alle guglie di forcella del leone. E via, in discesa!

Igor parte per primo e sentendo il rumore degli sci sulla neve, capisco immediatamente che razza di schifo sia. Un crostone misto duro rende la discesa particolarmente fastidiosa. Accendo la frontale per vedere un po’ meglio dove mettere gli sci. La via giù nel vallone è evidente e non possiamo perderci, ma scendiamo come bradipi, rallentati dalla neve difficile. Igor fa come sempre il protagonista ribaltandosi molto scenograficamente. Questa volta io sono poco reattivo e lui non si becca il solito video provatore.

Con le gambe abbastanza cotte, raggiungiamo finalmente il bivacco poco dopo le ore 17, dopo più di 8 ore sugli sci. Parte allora la solita organizzazione incallita. Come sempre funziona che io parlo a raffica, propongo cose, suggerisco idee, programmo. Igor si cambia e si organizza in un minuto.

Alle ore 18 stiamo già ridendo e bevendo un brodo. Una delle tre buste da tre porzioni condite da altre tre porzioni di tortellini, una luganiga e formaggio col pane. Abbiamo fame si? Usiamo un pentolone per sciogliere la neve che raccogliamo fuori dal bivacco, trovando modi sempre più strani per uscire con gli scarponi senza infilarli ai piedi. La vita da bivacco è unica. Fuori deve fare molto freddo, lo sentiamo anche dentro. Seduti, incopertati completamente rifletto sua quali siano i nostri problemi. Ma come facciamo a preferire questo ad una casa calda e comoda? Eppure……

Dopo ore a mangiare e sparare stronzate, decidiamo che è ora di buttarsi sui materassi e riposare un po’. La giornata è stata lunga e impegnativa. Si va a nanna. Sono le 8 e 20 di sera….. ahahahhah mi sembrava mezzanotte!

La notte passa come al solito. Il bivacco non è mai un’Hotel ed è sempre difficile farsi una tirata. Io mi sveglio diverse volte ma ho talmente tanto sonno da recuperare che è sempre facile riaddormentarsi. Nonostante diversi cambi di vestiti a seconda del freddo caldo che varia un casino, arriva la mattina. Suona la mia sveglia del giorno precedente alle 5 e 15. Cazzo. “Igor dormi pure, è la sveglia di ieri”. “Non ho più sonno ormai”, mi risponde. E dopo 2 minuti, ronfa di nuovo. Alla fine dopo diverse sveglie e tanti rigiri sotto le coperte, ci alziamo alle 06 e 30. Come al solito quando dormo in bivacco sono impaziente di uscire la mattina. L’alba è la mia fissa.

Apro la porta incastrata dal freddo a fatica. Fuori il cielo si sta già colorando. Che roba. Nonostante ormai io ne abbia viste parecchie, è sempre un’emozione. Sempre speciale.

Uscire dal bivacco è sempre la sveglia migliore. Non solo per i colori e lo spettacolo. Provate voi a stare fuori e non svegliarvi un un nano secondo. Che freddoooooooo. Durante la nostra colazione, con 7 tè e duecentoquaranta biscotti, entro ed esco mille volte. Fotografo, guardo, ascolto. Fotografo di nuovo, filmo, respiro. Il freddo, quello si sente sempre. La mano con cui tengo il telefono non apprezza.

Usciamo dal bivacco e Igor riesce a cadere per terra senza neanche aver messo gli sci ai piedi. Lo prendo per il culo e lo filmo, ovviamente.

Come sempre polentoni, riusciamo a metterci in cammino alle 8, neanche male. Ancora infreddoliti, iniziamo a muovere gli sci proprio mentre il sole fa il capolino. Che spettacolo. L’esposizione della valle ad est ci regala una delle più belle partenze possibili. Seguo con lo sguardo Igor mentre si muove seguendo la traccia da noi battuta il giorno precedente. Si immerge in nuovi colori ancora. Il bianco della neve crostosa si mescola con il giallo pienissimo delle montagne illuminate. Sul pendio le nostre tracce disegnate sono evidenti e compongono un quadro che adoro guardare. Avere la traccia pronta è un bell’aiuto. La testa non deve lavorare e possiamo incentrare le nostre energie nello sforzo iniziale, il più difficile per quel che mi riguarda.

Bardato ed infreddolito, ci metto molto a raggiungere Igor che regolare e costante come sempre è già sul pendio. Pian piano inizio a scaldarmi e a togliere strati mentre risaliamo per la terza volta forcella Monfalcon. Oggi lo faremo altre due volte! In cima è ancora una volta uno spettacolo. Il vento è di nuovo presente. Un aereo passa in alto lasciando la scia di umidità. In altissimo i cirri lasciano tanto azzurro nel cielo. Grandi viste, ancora una volta. Dopo appena mezz’ora, siamo pronti già a sciare in discesa. Eh si perché ieri i 2000 metri di dislivello di salita verranno compensati da tantissimi metri in discesa. E noi siam pronti!

Siamo gli unici ad essere scesi ieri per di qua. Significa che abbiamo ancora un sacco di pendio libero per poter disegnare. E così è. La neve è di nuovo bella e sciare così presto la mattina è davvero bellissimo. Rispetto a ieri stiamo un po’ più sulla destra, cercando di evitare i pendii carichi a sinistra. Scendiamo ancora più bassi e questa volta non possiamo sbagliare l’accesso.

Ed eccoci allora, sotto il canale che porta a forcella Montanaia. Ripelliamo, mentre iniziamo la nostra solita conversazione. I dubbi ci sono, e per fortuna. Avere dubbi significa porsi il problema ed è per forza una cosa giusta. La risposta o la soluzione, quella si che è dura! Comunque, la neve sembra ben consolidata, almeno qui. Le guglie in parte sono stracolme di neve e si percepisce totalmente quanta ne sia caduta, ma l’esposizione sembra lasciare pochi spazi a scarichi improvvisi. Proviamo almeno un pezzo dai.

E l’inizio è davvero forte. Il canale è largo sotto, ma già abbastanza ripido. Come del resto ovunque, non ci sono tracce. Chiedo ad Igor se posso stare davanti io. Troppa roba poter battere. Mentre salgo a zig zag, mi sento ipermega concentrato. Osservo la neve, la sento sotto gli sci. Studio la pendenza, cerco la via più intelligente. Guardo in alto, in parte, sopra. Certo è che siamo in un imbuto in cui non si vede nemmeno l’uscita, non è che da troppo senso di sicurezza. Comunque, sicuro di cos’ho sotto i piedi, proseguo. L’attenzione è talmente alta che non sento la fatica. Mi sento immerso nella neve, nell’ambiente. Procediamo staccati ad un paio di curve di distanza.

Ogni tanto mi giro, osservo Igor, gli chiedo cosa pensa. Io continuo a non vedere pericoli evidenti. Certo è che sopra chissà cosa ci sarà. Non so contare quanti pendolini, quanti cambi di direzione. Mi guardo indietro. Che bomba che è vedere la traccia. Sopra di me la neve sembra sempre più vergine. Il canale è sempre più stretto e la mia attenzione sempre più alta. Ogni tanto qualche piccola scarica di neve vecchia mi consola, mi da sicurezza. Faccio particolarmente attenzione nei leggeri tratti di pendenza o nell’evitare quelli che mi sembrano piccoli accumuli di neve. Cambio il lato di risalita diverse volte a seconda di quello che vedo. E siamo sempre più in alto.

Che avventura ragazzi.

Un paio di volte il canale si restringe. E’ invece sempre costantemente ripido. Salendo la neve continua a farmi ben sperare, non sprofondo troppo e sento che si è trasformata molto, anche se siamo a nord. E finalmente si vede l’uscita in forcella. Mamma mia. Una cornice gigante pare un muro invalicabile. Fa decisamente impressione. Guardo in alto. Il sole non illumina niente sopra di noi, nemmeno la cornice. Fa freddino. Ok, andiamo ancora su.

Non ho paura, ma sento chiaramente la sensazione di delicatezza, di severità dell’ambiente. Più mi avvicino e più studio la situazione. La cornice è grande tanto quanto sembrava. Guardo a destra e sinistra cercando sbocchi o punti di riparo. Non sembra esserci molto. Mancano ormai meno di cento metri e sento la neve sotto di me cambiare leggermente. Aspetto Igor. Guardiamo su, più preoccupati che affascinati dalle composizioni del vento. Non sono mai un buon segno. Ci stacchiamo di nuovo e risaliamo gli ultimi metri.

Mi fermo a 10 metri dalla cornice. La neve sotto di me è tanta ma non sembra essersi accumulata in modo diverso dal resto del canale. Comunque, non è bello stare qui. Igor mi raggiunge e iniziamo la solita tiritera. Spaccare la cornice sembra un suicidio, e sicuramente lo è. Ci sarebbe forse un modo per aggirarla a sinistra ma percorrendo a piedi qualche metro molto, troppo ripido. A destra ci sarebbe riparo ma attraversando un accumulo evidente.

Il campanile della val Montanaia è di là, a 5 metri da noi, che facciamo? La decisione anche qui, a posteriori, è evidente. Ma non è mai facile, almeno per me, prenderla sul momento. Questa volta però ci mettiamo ancora meno del solito. Qui proprio è meglio non stare. Perciò via le pelli, si scende. Nonostante non vediamo pericoli imminenti, siamo molto veloci a cambiare assetto. Gli attacchi sono pronti, le pelli sono in zaino…..”Vado io Igor, va bene? Scendiamo uno alla volta”.

Mi lancio, cercando di non affossarmi nella neve fresca e soffice. La sciata è pazzesca, accompagnata da un brivido di adrenalina. La preoccupazione sparisce momentaneamente, sovrastata dall’emozione indescrivibile dello sciare già da questa forcella. Una ventina di curve tutte insieme, galleggiando leggero nella neve. Poi mi fermo. Evito di urlare per non interrompere il silenzio. Che spettacolo. Mi giro e guardo Igor che pennella i primi metri, i più ripidi. Sarà così per tutta la parte alta. Ogni sosta è un’occhiata in giro. Le condizioni della montagna non possono che essere le stesse, ma guardarla mi da sicurezza. E così ancora giù, a turno, usciamo dai tratti più stretti e ripidi.

Inizio a sentirmi più tranquillo quando la neve cambia e da fresca fresca diventa trasformata e più pesante, ma sempre splendida da sciare. Una gran sorpresa trovare queste condizioni. Sono 500 metri di dislivello abbondanti. Più scendiamo e più ci sentiamo liberi. Ogni volta che Igor mi raggiunge o viceversa, rido come un matto. C’è tanta felicità!

Il tempo vola e non so calcolare quanto ne sia passato. Non so quanto ci abbiamo messo a salire, non so quanto a scendere. Quando non guardo l’orologio sono contento, significa che sono immerso in quello che sto vivendo. Solo il telefono esce spesso dalla tasca per immortalare in modo spasmodico più momenti possibili. Sotto il canale, ci diamo un pugnetto. E’ fatta! Son felice, a dir poco! Faccio fatica a realizzare una discesa non clamorosamente complicata ma per me molto significativa. Riflettiamo anche su quanto accaduto. Ci diciamo come fossimo entrambi consapevoli di non poter scavalcare la cornice ma di come sentissimo il bisogno di tentarci, almeno mentalmente.

Siamo ormai fuori dai pericoli del canale e possiamo ristorarci. Non l’abbiamo fatto in cima, per non perdere tempo prezioso. Igor si mangia la sua solita frutta secca, io i miei soliti biscotti. Il tè abbonda, come sempre. Quando iniziamo a sentire freddo, rimettiamo le pelli agli sci e siamo pronti per ripartire. Ci aspetta, indovinate un po’? Un’altra risalita a forcella Monfalcon. D’altra parte non ci sono molte altre soluzioni, dobbiamo rientrare al bivacco a recuperare parte del nostro materiale che abbiamo lasciato lì per muoverci leggeri.

Comunque, risalirei cento volte questa forcella. Questa volta non ci accompagnano i colori del tramonto, ma è comunque splendida. Siamo anche più freschi di ieri e risaliamo con più velocità fino in cima. Sento anche una grande spinta dalla soddisfazione per quello che abbiamo appena fatto. Raggiungiamo la forcella alle 13 e qualcosa. 5 ore per andare e tornare da Montanaia, più o meno come avevamo programmato. In forcella c’è una piccola sorpresa. Ci sono due ragazzi che la stanno risalendo dal lato Marchi-Granzotto. Sono le prime persone che vediamo in 24 ore e apprezziamo un po’ di sane chiacchiere con altri montanari. Ci chiedono da dove arriviamo e in un modo o nell’altro capiscono perché le tracce da e per la forcella erano poco chiare!

Per noi è tempo di un’altra pausa, ancora in paradiso. La voglia di scender ein bivacco è comunque alta e ci mettiamo in moto abbastanza presto. Questa volta, visto l’orario, non c’è crosta è la sciata è decisamente più morbida e piacevole. Raggiungiamo il bivacco e siamo pronti a divorare tutti i nostri avanzi. Prepariamo con i fornelletti l’ultimo tè, ricarichiamo gli zaini e puliamo il bivacco. La sensazione è di lasciarlo meglio di come l’abbiamo trovato e ci fa molto piacere.

Ora l’ultima, o quasi, decisione. La nostra intenzione è di sciare il canale di las busas per tornare a forni e per arrivare nel forcellino abbiamo due alternative. O tornare verso forcella del Casone da lì attaccare las busas oppure risalire verso forcella Monfalcon e da lì calarci da più in alto verso las busas. Decidiamo di risalire, per la quinta volta, Monfalcon. Di tutte le 5 volte, mi sembra quella meno faticosa e non so nemmeno spiegarmi il perché. Sarà forse perchè poi ci attendono 1300 metri di discesa continua?

Comuque, in cima la forcellino, siamo entrambi felici di non dover salire più! Togliamo le pelli per l’ultima volta e osserviamo il primo tratto bello ripido sotto di noi. Do un ultimo sguardo alla valle di Monfalcon di Forni prima di lanciarmi in discesa. Lascio un pezzo grande di ricordi qui. Si aggiungono tral’altro ad altre grandi esperienze vissute in questi luoghi.

L’inizio di discesa è ben più bello di quello che ci aspettassimo. La neve polvere! Non so come sia possibile, ma la sciata è la migliore dei due giorni. incredulo curvo ogni metro con gli sci che mordono uno strato consistente di neve fresca, freschissima! Mi giro verso Igor: “wooooooow Igor è uno spettacolo!!! Lui non si fa pregare e mi segue più guardingo verso il centro del pendio abbastanza ripido. Che posto, pure questo! Continuiamo a scendere, come al nostro solito, alternati. Qui le tracce sono tante e dopo due giorni ci sembra di tornare nella civiltà.

La neve, anche in basso, è ancora incredibilmente fresca e questo è un gran regalo per le nostre gambe che iniziano a diventare pesanti. Usciamo dal ripido, stando attenti a prendere i traversi verso destra che portano al rifugio Giaf. Da questo momento inizia un tratto di discesa tortuosa fra resti di valanghe e un bosco iper tracciato. Siamo tenaci nel tenere l’attenzione alta e nonostante ciò voliamo per terra diverse volte, fra le risate, ovvio! La cosa più importante è non farsi male, ma non riusciamo comunque a rinunciare al rock ‘n roll fra gli alberi, poveri noi.

Raggiungiamo il rifugio Giaf non si sa bene come. Ci immettiamo nella forestale mentre un gruppo di ragazzi scende a piedi. Penso che ci abbiamo scambiato per dei derelitti caduti dal cielo. Li saluto mentre tento di rimanere in piedi fra la neve schiacciata. Uno di loro mi guarda e mi chiede “ma tu sei quello che pubblica sempre i giri su facebook?” cazzzzzz la mia reputazione mi precede, e non so mica se è una bella cosa!!! Comunque, chiacchierando riposiamo le gambe prima dell’ultima volata.

La strada è meno terribile di quello che pensassimo e ci guida senza troppe ansie verso il basso. Igor tenta l’assolo franandomi addosso invece di fermarsi ma non riesce a rovinare l’ultima discesa. Tentiamo un ultimo rock ‘n roll nel bosco ma il crostone pazzesco che troviamo ci fa tornare presto sulla strada e le gambe ringraziano. Ed eccoci alla fine, sulla pista di fondo, dove, indemoniato, vedo una sfida con Chicco Pellegrino e mi metto a pattinare in salita per raggiungere la macchina. Igor, ridendo, mi raggiunge a piedi dicendomi che ha scoperto essere meno stancante così….. 😀 Lucidi insomma!

Dopo 8 ore, anche oggi, siamo alla macchina! Un altro pugnetto, un sorriso ed è fatta anche questa! Che avventura! Disfare lo zaino è una prassi figa e lo facciamo in silenzio, come se fossimo ancora nel bel mezzo di decisioni importanti da prendere. E invece si tratta solo di non dimenticare caschi o sci in parcheggio 😀

Ce ne andiamo al bar, perché abbiamo calcolato anche il tempo per poterci bere due birroni in relax. Si perché arrivare al buio è figo, ma bere la birra finale lo è di più!!

Il viaggio di ritorno verso casa ci vede incredibilmente attivi in macchina. Non si dorme, non ci si abbiocca, sarà l’adrenalina?

Quando vivo esperienze del genere faccio sempre fatica a categorizzarle. Mentre le vivo non mi rendo conto di quanto siano grandi, difficili o uniche. E’ il dopo che mi frega. Ho la fortuna di poterne contare ormai diverse di queste esperienze ma ognuna è unica. E’ lei. E’ una nostra invenzione, costruzione, idea. Riscriverne la storia, come sempre, mi galvanizza e mi fa rivivere momenti che forse altrimenti mi sarei già dimenticato.

Questa è la storia di forcella Montanaia che abbiamo sciato come piace a noi, all’avventura! Grazie maiale, che continui a farmi compagnia e, non so come, a sopportarmi!

Alla prossima 😉

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