Stelvio Ultra Trail

73 km, 5000 D+, 15 h e 31

Sabato ore 15e30:

E’ mentre percorro l’ennesima e interminabile salita, dopo quasi 12 ore di gara,  che mi chiedo il perché. Ancora una volta, la domanda è sempre la stessa: vale la pena? Davvero vale la pena? Sono stanco morto, sto mangiando praticamente solo mele da 12 ore e guardo intorno a me i nuvoloni neri che si accumulano e sono pronti ad esplodere. Io sono pure terrorizzato dai temporali, che ci faccio qui? Ho anche un sonno micidiale, vorrei solo dormire.

Sabato ore 04e00:

Siamo a Solda, comune di Stelvio. La partenza è quasi surreale. La sveglia è suonata alle 2e30 e ancora più che mezzi addormentati abbiamo abbozzato una colazione per cercare di partire con qualche energia in corpo. Siamo in pochissimi alla partenza: 115. Sembra un evento fra amici più che una gara di Ultra trail ed è fighissimo così. Iniziare a correre è comunque un trauma. Per fortuna dopo poco più di 2 km comincia la vera salita e si può camminare.

Le frontali illuminano una notte incredibilmente stellata solo per i primi minuti di gara. Dopo poco infatti, il chiarore comincia a farci intravedere profili enormi davanti a noi. Avanziamo lungo una strada molto ripida che risale un vallone enorme, vecchia sede di un ghiacciaio. Non c’è ancora il sole ma sembra già un posto magico.

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Cammino con costanza in parte ad Igor. Abbiamo deciso che ognuno è libero di tenere il proprio passo e di fare la propria gara senza aspettarci, ma è un piacere e un divertimento camminare insieme, come sempre. La mia pancia non è felice di questi smottamenti mattutini ma la giornata è lunga e confido in un miglioramento. I metri di dislivello cominciano ad accumularsi e in breve tempo siamo al Rifugio Città di Milano. Non serve che io descriva nulla, la foto parla da sola.

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Rif. Città di Milano e da destra: Ortles, Zebrù e Gran Zebrù.

Fa freddo. Talmente tanto freddo che sono costretto a mettermi la giacca. Sarà forse perché siamo già a quota 2581 e sotto un ghiacciaio? Che spettacolo ragazzi. La strada prosegue ancora un po’ in leggera discesa prima di trasformarsi prima in un sentierino misto rocce e sassi e poi in una traccia vaga fra sfasciumi di rocce.

Poi, accadono due cose splendide nel giro di pochi minuti: Prima, il sole comincia a fare capolino dalle montagne dietro di noi illuminando le punte delle tre montagne maestose che abbiamo davanti. Poi, cominciamo a camminare sul ghiacciaio.

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Il sole sulle vette

Camminare su un ghiacciaio è qualcosa di stranissimo. A volte nemmeno ci si rende conto di essere sopra metri e metri di ghiaccio dato che si cammina sulle rocce. Eppure sotto lo strato di terreno grigio dove districhiamo i piedi, c’è un mare profondissimo di neve e ghiaccio. Lo vedo fra le ondulazioni e le spaccature del terreno intorno a noi. Anche quando camminiamo sulla neve dura di per se non sembra di essere su una distesa di ghiaccio. Poi però, basta alzare lo sguardo per capire di essere in paradiso.

Inizia un tratto favoloso, davvero favoloso. Muoviamo i passi nella neve con grande fatica. E’ dura ma ci sono vecchie orme ghiacciate che rendono difficile non solo la corsa ma anche la camminata. La traccia (non lo definirei sentiero) alterna distese enormi e lingue di neve a tratti su sassi medio grandi. Tecnicamente complicatissimo muoversi ed è per questo che è fantastico. La cosa più difficile è comunque guardare per terra. Troppo forte il panorama che abbiamo davanti. L’Ortles, sopra di noi, è minaccioso. Il suo ghiacciaio e le sue seraccate alte centinaia di metri sono spaventosi. Un cornicione altissimo dà l’aria di staccarsi da un momento all’altro. Che fascino. Che potenza.

Questo ambiante glaciale svia la mia mente dalle problematiche di giornata. Riesco per diverso tempo a non pensare alla stanchezza, al sonno ed al mal di pancia. Al primo ristoro mangio giusto due fette di mela e bevo un po’ di acqua fredda, gelida. Un po’ di tè caldo resterà nei miei sogni tutta la giornata.

Per tutto il traverso sul ghiacciaio mi sembra di essere alienato dal mio corpo. Sono solo felice di essere lì. Questa sensazione di pace e benessere rimane anche nel primo tratto di discesa/piano dove possiamo correre per la prima volta. Il secondo ristoro è come il primo: pieno di frutta, biscotti e acqua fredda. Corriamo su un sentiero pazzesco, sui 2400 metri di quota. Siamo usciti dal ghiacciaio e  tagliamo la montagna in orizzontale proprio sopra Solda. Uno spettacolo.

Tutto sembra andare bene fino a quando iniziamo di nuovo a salire. Mi sento scarico, sono senza energia e sono passate poco più tre ore dall’inizio della gara. Che fatica salire. La strada fino al rifugio e al ristoro non sembra lunga ma le pendenze sono forti. Ancora lui, il panorama, aiuta a distogliere la mente dalla fatica e dalla sofferenza.

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Rifugio Tabaretta con L’Ortles alle sue spalle

Igor è sempre al mio fianco. Abbiamo fatto un po’ di elastico in queste ore ma alla fine siamo quasi sempre a vista. Al ristoro, oltre alla solito mix di frutta biscotti e acqua c’è anche una dolce ragazza che ci intrattiene. Ci descrive un po’ quello che ci aspetta e dopo alcune chiacchiere e un po’ di pausa siamo pronti a ripartire.

Sono scosso dalla bellezza dei posti che sto osservando. Di montagne ne vedo tante e spesso, eppure qui mi sento sovrastato e piccolissimo al cospetto dell’Ortles. E’ sopra di noi, ci avviciniamo sempre più. Riprendiamo a salire e solo dopo i primi passi sul traverso, mi rendo conto che non aggireremo le grandi rocce che abbiamo davanti ma scollineremo a metà. Che figata.

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Vista dal Rifugio Tabaretta. Il traverso (alto, sotto le rocce) e i successivi tornartini sul sentiero, portano al Passo Tabaretta (2903 mt)

Ci incamminiamo sulla traccia che attraversa la ghiaia risalendo in obliquo ma dolcemente. Pian pianino il sentiero si fa più ripido fino a zigzagare in direzione della sella. Vedo i concorrenti davanti a me molto in alto, sopra di noi. E’ un chiaro indice di quanto sia pendente la salita. Infatti ci impenniamo e superiamo tratti con qualche roccetta in cui è necessario fare attenzione per non farsi un bel volo di sotto. Montagna! Finalmente una gara di corsa in montagna che percorre sentieri difficili, tosti e tecnici. Sono contento, fin’ora è tutto splendido.

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Ultimi metri prima del Passo Tabaretta (2903 mt)

Arriviamo in cima al passo Tabaretta e la vista invece che peggiorare diventa ancora più fenomenale. Sbuchiamo su un tratto attrezzato da una corda e mentre lo passiamo con delicatezza, si vede la via normale di salita alla vetta dell’Ortles. Il rifugio Prayer è sopra di noi, costruito sulla cresta rocciosa. Vedo in lontananza la colonnina di persone che cammina verso la vetta.

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Fine del tratto attrezzato, Rif. Prayer in cresta e sua maestà L’Ortles

Difficile descrivere le sensazioni di una passeggiata in questo luogo. Purtroppo dopo un po’ il sentiero comincia a scendere voltando le spalle alla montagna, così smetto di guardarla e comincio a corricchiare in discesa. Terreno super tecnico, correre è una parola grossa. E’ ripido e tante roccette interrompono una traccia già abbastanza sconnessa. Per mettere ancora un po’ di pepe, ritorniamo a muovere passi sulla neve. E’ difficile stare in piedi, figuriamoci correre. I bastoncini aiutano a tenere l’equilibrio. Il sole comincia a far sentire caldo e ci fermiamo a metterci la crema. Sembra passata una giornata ma in verità sono solo le 8 e 30 del mattino.

Ci aspetta una discesa folle. Dobbiamo scendere 1300 metri di dislivello. Prima Igor, poi io, voliamo in discesa superando diverse persone. Pian pianino comincio a sentirmi meglio e a respirare decentemente. La quota elevata non mi ha sicuramente aiutato a stare bene. Ora finalmente anche il fisico riesce a godersi un po’ della giornata. La testa invece è in estasi da 5 ore.

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Scendendo dal Passo Tabaretta, si vede lo Stelvio sullo sfondo

La discesa passa veloce. Sbattiamo contro il rifugio Borletti senza nemmeno accorgerci del suo arrivo. Poi la discesa si fa ripida ripida e calda calda e le gambe cominciano a rompere, ma niente di tragico.

Sbuchiamo in un paesotto, è finita la discesa. Il ristoro offre mele, frutta, biscotti e acqua. Cominciamo a capire che la musica non cambierà. Se non altro c’è sempre una ragazza carina che ci aiuta ed è molto difficile lamentarsi. Bevo come un cammello. Credo un litro e mezzo d’acqua. Sarà così ogni ristoro. Mangio una fetta di mela, poi un’altra e un’altra ancora. Sembra quasi che siamo nella terra delle mele! E mentre usufruisco dell’alta Val Venosta, io e Igor pensiamo a cosa ci aspetta. Abbiamo la salita allo Stelvio che ci porterà a metà gara. Sembra la parte più tosta dell’altimetria e del profilo di gara. Avremo invece sorprese ben peggiori verso la fine.

Comunque iniziamo a salire. Mi sento bene e vado su come un treno. Supero almeno una quindicina di concorrenti. Comincia poi a fare caldo e come un bravo soldatino comincio a bere poco e costantemente. Poco certo, ma un mezzo litro d’acqua lo faccio comunque fuori senza nemmeno accorgermene. Esco dal bosco, vedo la strada asfaltata famosissima che sale al passo. Ma quanto siamo lontani ancora? Uscendo allo scoperto, il sole mi cucina. Incontro e supero una ragazza slovena. E’ la terza donna in classifica. Con lei condividerò diversi momenti di gara ma nel primo incontro le dico in inglese che la quarta è abbastanza indietro. Chissà cosa le ho detto in realtà, mentre imprecavo in salita sotto il sole.

Saliamo, saliamo, saliamo. Ma quanto cazzo si sale? Sto finendo l’acqua e si continua a salire. Ogni svolta, ogni curva è un martirio. Giro l’angolo e vedo sempre qualcuno davanti a me che continua a salire…Non voglio guardare la quota sull’orologio perché ho paura di quanto possa mancare. L’acqua poi finisce e tutto il mio brio e la mia energia ritrovata svaniscono in un battibaleno.

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In salita verso il Passo dello Stelvio, unico.

Comincio a soffrire e per la verità soffriamo tutti. Sembriamo mucche al pascolo. Zombie che si muovono ciondolando e con le braccia alzate in ricerca di acqua. Tecnicamente, stiamo percorrendo una salita di 1500 metri di dislivello e non c’è acqua da nessuna parte se non sotto forma di neve. Il panorama, in ogni caso, aumenta vertiginosamente le sensazioni positive.

Ho raggiunto tre corridori e li seguo senza alzare lo sguardo. Ormai il passo Stelvio è vicino. Ci ritroviamo sulla neve e  copio le orme davanti a me senza osservare troppo in giro. Poi, distrattamente, guardo a destra. Madonna quanto alti siamo? Qui è meglio non cascare! Siamo su un traverso innevato per niente simpatico e faccio molta attenzione. Poi un tizio ci urla: “non di là, è sopra il traliccio”. Ecco lì, avvistati 4 scemi che sbagliano strada nel tentativo di un suicidio. Per fortuna ci fermano in tempo e raggiungiamo il nostro primo traguardo tanto sognato. Ho la gola secca, ho fame e una sete clamorosa. Sono passate 7 ore e mezza di gara, siamo circa a metà. Finalmente potrò riposarmi un po’, bere litri d’acqua e mangiare come un maiale. Invece: mele, mele, mele, mele.

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Strada che porta al Passo Stelvio, da sopra.

Arrivo al Passo dello Stelvio dopo due ore e un quarto di salita decisamente tosta. In quel momento condividevo con i miei compagni di avventura la frase: mai fatta una salita così. Illusi, non sapevamo ancora cosa ci aspettava…

Mentre provo ad incamerare più acqua e più cibo possibile, mi guardo in giro. Siamo nella parte più isolata e vivibile del passo, dietro ad un albergo. Rifiatando, mi prendo del tempo per osservare ancora un po’ questi luoghi che non avevo mai visto. L’Ortles è lontano ma incanta anche da qui. Si comincia anche ad intravedere quanta strada abbiamo fatto. E’ sempre una potenza rivedere dove ti portano i tuoi piedi!

Non ho fretta, anzi. Decido di fermarmi ancora un po’. Ci aspettano diversi km di discesa e saliscendi e comincia a fare caldo. Poi, come faccio a voler scappare da questi posti?

Ore 12: 38 km percorsi, 3000 metri di dislivello fatti.

Dopo quasi 20 minuti di pausa, riparto. Scendo per la strada asfaltata che porta al centro del Passo dello Stelvio. E’ follia pura. Una città. Orde di macchine, moto, biciclette e persone. Guardo per terra per evitare sguardi. Per fortuna c’è qualche concorrente davanti a me che mi indica la strada su per una scaletta di pietra. La prendo e sono di nuovo in salita. E’ un po’ un trauma, ora che ci ripenso. Comincio ad essere stanco.

Qui comincia la seconda parte di gara in tutti i sensi. Abbandono il completo piacere e la goduria e accendo la modalità ultra trail. Si soffre, si fa fatica e le emozioni sono diverse, più forti. Ci aspetta un traverso infinito spesso in discesa ma ancor più spesso in saliscendi. Aggiriamo monti come fossero curve, superiamo piccole valli come fossero ruscelli. Passano più o meno veloci i km mentre le persone in parte a me cominciano ad essere sempre le stesse: “ei ciao, di nuovo qui? Ci vediamo dopo! ” Si chiacchiera, si suda, si fatica. Trovo un ristoro inaspettato e  ne approfitto per assaggiare ancora qualche mela. Chissà, magari erano di un altro tipo.

Il traverso infinito è sempre ben al di sopra dei 2000 metri di quota. Dopo il ristoro troviamo un paio di salite ripide ma corte. Compare una strada che a guardarla sembra dritta. Ma come fanno a costruire strade così ripide? Vedo anche un Gipeto, bellissimo!

Inizio a guardare l’orologio troppo spesso. Tradotto significa che non vedo l’ora di arrivare al ristoro. Le ore in giro per la montagna sono ormai quasi 10. Il cielo nel frattempo fa intravedere le prime nuvole grigie. Passa ancora qualche km e poi finalmente si scende forte. Dobbiamo raggiungere Ponte Stelvio, a quota 1100 mt e siamo ancora sopra i 2000. La buona notizia, l’unica, è che siamo già oltre al km 50 e abbiamo superato i due terzi di gara. Per il resto, manca la parte più dura e tosta della gara.

Via in discesa. Ma che discesa è? Il primo tratto è fra prati e boschetti, prima su un sentiero e poi su una stradina sempre più ripida. Poi, si impenna al contrario. Le mie caviglie sbattono duramente contro un terreno secco e duro. Mi spacco tutto mentre cerco di trotterellare verso il basso. Come poi se i quadricipiti fossero freschi…Che maleeee!!! E non c’è un sasso, una radice, uno scalino su cui mettere il piede in piano. Discesa massacrante.

E proprio mentre sogno oramai la fine e il ristoro, sbuchiamo in un paesino. Osservo che siamo ancora alti, su nella valle e questa è una pessima notizia. Il paesino, caro lui, è pure molto bello e affascinante. Casette costruite attaccate, stradine dove sembra non possano passare macchine e una calma unica. Insomma: una perla. Peccato che sia costruito in salita, le sue stradine siano di asfalto e noi dobbiamo scendere. Panico. Mentre faccio finta di correre in discesa, sento dei martelli sulle caviglie ogni volta che poggio il piede a terra. Non bastasse, sono le 3 di pomeriggio e fa un caldo boia.

L’agonia per fortuna dura poco e almeno rimettiamo i piedi in mezzo all’erba. Dopo una decina di minuti arriva anche il ristoro che sembrava un miraggio.

Mi tolgo le scarpe. Sono bollente. Il ristoro è il solito gazebo e ormai non serve più che vi descriva il suo menù. Come al solito mi riempio d’acqua. Ho tanta sete ed è il punto più basso della gara a quota 1100 mt. Mentre mi rifocillo, estorco informazioni circa cosa ci aspetta. Dall’altimetria mi pareva ci fossero ancora due salitine prima dell’arrivo. Arrivo che secondo i miei calcoli è a circa 15 km. Salitine sto cazzo. Come al solito sottovaluto i profili altimetrici. Dobbiamo salire di 1300 metri di dislivello tutti di un tiro e poi ancora di altri 400. Aiutoooo.

A dir la verità comunque, sempre meglio salire che scendere. O almeno così pensavo prima della salita.

Ore 15:00 , 55 km percorsi.

Riparto. Mi sento relativamente bene mentre le mie caviglie si riposano camminando in salita. E’ ripida ma imposto il mio pilota automatico e vado su costantemente. Ci metterò poco a cominciare a sentire la pendenza del sentiero. Mamma mia ma anche questo, quanto è ripido? Ma che sentieri costruiscono da queste parti? Mentre incrocio e supero qualche atleta, mi spunta davanti un ragazzo dell’organizzazione. Mi dice di stare attenti perché da qualche parte più avanti qualche stronzo ha tolto i segni da seguire (Stronzo l’ho aggiunto io). Dice di seguire i gps… e chi ha il gps?  Gli rispondo che cercherò di seguire i concorrenti davanti a me sperando che non sbaglino strada. Ritrovo la mia amica terza donna. E’ preoccupata di sbagliare strada. Ma qui non  sembrano esserci molte alternative, basta seguire la via iper pendente che ci sta sfiancando.

Che dura ragazzi. Io amo le salite, davvero, ma questa no. Non so dirvi perché è stata tanto dura…forse la sua lunghezza, forse la sua pendenza, forse la sua costanza. Fatto sta che lo Stelvio a confronto è stata una passeggiata.

Come non bastasse il percorso, siamo tutti lentissimi. Dopo 12 ore di gara, fare 1300 D+ non permette scatti veloci, tutt’altro. Non passa più. Guardo l’orologio ogni tanto per vedere la quota, ma questa pare non aumentare mai. Passano i minuti e arrivano le nuvole. Osservo il grigio sopra di noi, il viola lontano. Non promette niente di buono e io non ne sono per niente felice. Comincio ad immaginarmi come gestire un possibile temporale, perché io sono di quelli che si fasciano la testa prima di averla rotta. Tanto nel frattempo si continua a salire. Salita infinita davvero. E’ logorante.

Siamo comunque in mezzo al bosco e mi sento al sicuro. Sbuchiamo poi su una strada prima di prendere un odioso saliscendi su un sentiero sconnesso pieno di radici e sassi. Tanto nessuno corre. Si percepisce la stanchezza da parte di tutti. Vedo la faccia di chi incontro lungo il percorso e mi rivedo. Tutto sommato non devo essere nemmeno troppo lento visto che nessuno mi raggiunge da dietro e visto che continuo a raggiungere qualcuno davanti. Comunque, in un modo o nell’altro, si intravede il punto di fine salita, più o meno.

Voci dicono che dobbiamo raggiungere una malga e poi si scende. Le voci nelle gare di ultratrail sono fenomenali. Non ci si può fidare di nessuno  ma ci si fida di tutti. Ovviamente, si ascolta solo quello che si vuole ascoltare. La morale è che io mi faccio un film in testa incredibile su quale sarà il percorso e su quanti km mancano, sbagliando sempre. Oramai è un caos di numeri.

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Igor prima della PARTENZA

Vi metto una foto di Igor prima della partenza per staccare dal racconto faticoso in tutti i sensi. Non ho foto di questo tratto di gara, e se non ho fatto foto io….significa che ero veramente cotto!

Ad un certo punto, vedo la malga! Sono felice, finalmente un po’ di pausa. La raggiungo e osservo la bella valle in cui ci siamo incuneati. La malga è piccola e chiusa ma il posto è carino. Sto per ripartire quando sento il boato di un tuono dietro di me. FFFFFFFFF che palle, proprio ora? Mi giro e vedo le nuvole viola che risalgono la valle di Solda. Che palle. Mi spavento subito. Odio, odio, odio. Decido di aspettare un po’ e di cercare riparo. Mi metto la giacca. Non piove e io non ho paura della pioggia, ma dei fulmini si. Tento di rifugiarmi in baita ma non riesco ad entrare. Intanto arrivano concorrenti. Noncuranti del brutto tempo imminente, proseguono senza nemmeno pensarci. Riconosco qualcuno e provo timidamente a chiedere se stanno pensando di ripararsi un attimo. Nessuno mi caga.

Dopo l’ennesimo terzetto di persone, comincio ad avere freddo e il temporale non è ancora arrivato. Decido di proseguire. Ho notato che il sentiero scende e ritorna nel bosco, se non altro sarò protetto. Inizio a correre mentre mi sembra di essere seguito dalla  nuvola di fantozzi. Vado al doppio della velocità degli altri. Si vede che sono rimasto fermo 15 minuti e gli altri no. Quando raggiungo i primi alberi, inizia a piovere. Tuona con sempre più insistenza e il vento si alza. E’ forte e a raffiche,  niente di buono. Il temporale è proprio sopra di noi. Decido di fermarmi un attimo, sono in mezzo al bosco e onestamente non so che fare. Lascio un attimo la mia attrezzatura in disparte e aspetto. Sento il vento forte che piega gli alberi e le scariche dei fulmini sono brividi lungo la schiena.

Mi raggiungono i ragazzi che avevo superato. Cerco conforto ma lo ottengo solamente da Alessandro (credo) che mi dice che tanto stare fermi o scendere è uguale quindi meglio scendere. Non fa una piega.

Riprendo il mio materiale e lo seguo. E’ più lento di me, ma non voglio stare da solo. La bufera sta ancora impazzando ovunque. E’ abbastanza forte. Provo a rilassarmi corricchiando lentamente quando sono in mezzo a bosco e scattando quando esco allo scoperto. Poi, di nuovo come un miraggio, un altro gazebo! Mi sento di nuovo al sicuro, finalmente. Dopo momenti non facili da gestire, sono di nuovo rilassato. Come un sogno, trovo due fette di torta al ristoro e le mangio con grande piacere. Per rispetto mangio anche le solite fette di mele, ovviamente. Chiacchiero con un malgaro e qualche compagno di avventura che si sta rifugiando come me. Tuona e lampa ancora, ma è chiaro che stia ormai smettendo. Chiediamo lumi circa il percorso che troveremo in caso di ulteriore brutto tempo. Ci rassicurano dicendo che la maggior parte della strada sarà in mezzo al bosco. Dopo una decina di minuti di consulti, si parte.

Siamo in cinque che decidiamo di riprendere. LA notizia peggiore è che, di nuovo, si sale! Oddio ancora????  Eppure sono “abituato” a queste distanze..invece questa volta è davvero dura. La salita per me è sempre stata un grande piacere. Oggi è tostissima. Ci incolonniamo e procediamo a testa bassa. Il sentiero è ancora una volta ripido e sappiamo di avere quasi un’ora di salita davanti. Si va su costanti. Di tutta questa strada, ho in mente solo  di aver visto i miei piedi e, forse, quelli del ragazzo davanti a me. E su, su su. Troviamo una fontana. C’è qualche concorrente spiaggiato e sfasciato.

Per farvi capire quanto era dura l’ultima parte, ho scoperto poi che diverse persone si sono ritirate a meno di 15 km dall’arrivo……

Mentre seguo il mio apripista, cerco di mantenere il mio respiro costante. Non c’è molto altro da fare se non concentrarsi e macinare un passo dopo l’altro. Il panorama è anche oscurato dal bosco. Mi giro e vedo che abbiamo distanziato gli altri tre ragazzi. Questo mi rincuora un po’, forse significa che ancora non sono a pezzi (anche se così sembrava). Pian piano il bosco si dirada e intravedo la bandiera dell’Alto Adige. Può voler dire solo una cosa: malga!!!! E’ finita l’ultima salita. Festeggio il momento in compagnia delle mucche e con una foto, di nuovo dopo tanto!

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il cielo si apre, dopo la tempesta. Arrivo dell’ultima salita, km 70

ore 19, 70 km percorsi

DA qui ormai, è fatta! Mancano solo 3 km di discesa e potrei arrivarci rotolando per quel che mi riguarda. Inizio la discesa. Adesso solo sensazioni adorabili. Le caviglie e le ginocchia non sono felici perché nemmeno la strada sterrata su cui scendiamo è dolce, ma c’è spazio solo per la gioia. Due km passano davvero veloci e sbuco fuori dal bosco subito. Ecco Solda sotto di me. Mi viene un po’ il magone ma mi trattengo. L’adrenalina sta calando e..ci siamo quasi.

Scendo in paese non prima di una ultima, mini e infida salita. Poi ecco la strada. La attraverso, giù per il prato ed ecco l’arrivo.

Dopo 15 ore e 31 minuti, è fatta!

Non c’è uno striscione sotto cui passare, non c’è una folla, non c’è uno speaker. Ci sono un paio di organizzatori che mi applaudono, mi sorridono e si congratulano. Come dicevo all’inizio dell’articolo, c’è un clima di amicizia e io sono contento così!

Prima di crollare per terra, saluto e mi congratulo con i ragazzi che trovo davanti. Siamo tutti d’accordo: che dura! Realizzo piano piano facendo i complimenti a tutti. Effettivamente il percorso era davvero impegnativo e c’è da essere orgogliosi!Dopo pochi minuti, ecco anche Igor! Sono felicissimo anche per lui. La nostra settimana folle è completata, ce l’abbiamo fatta entrambi!!!!

Lunedì, ore 22

Dopo l’arrivo intorno alle 19 e 30 di sabato, io e Igor abbiamo deciso di non ritornare in macchina fino a Monguelfo. Entrambi troppo stanchi e sfasciati da una gara molto molto impegnativa, abbiamo preferito dormire in furgone ancora una notte e godere ancora qualche ora dei panorami ufologici del Parco Nazionale dello Stelvio. Addormentarsi sotto il bianco di queste montagne e svegliarsi al freddo nella valle di Solda, ha amplificato ancor di più il nostro piacere per la nostra capatina in zona. Felici e soddisfattissimi per le nostre scelte, abbiamo usato la domenica per viaggiare fino a casa. Ripensando al weekend e alla gara, sono ancora una volta convinto che questo sia un mondo fighissimo. Lo trovo un mondo forte e sincero. Un mondo che mette davanti a difficoltà superate e ripagate in modo proporzionale alla fatica e all’impegno messi. Un mondo vero.

E il piacere, quello come faccio a dimenticarlo? Lui, come tantissime altre emozioni fortissime che si provano durante esperienze ed avventure simili, mi caricano di vita. Non vedo, ad oggi, nessun motivo per non continuare a spingermi in avanti.

Grazie infinite a voi che condividete con me queste avventure. Grazie a voi che mi supportate. Grazie a voi che credete più di me nelle mie capacità. Grazie anche agli organizzatori. Nonostante diversi aspetti migliorabili, non posso non ringraziarli per avermi fatto vivere un’altra esperienza da ricordare. E credetemi, in quei luoghi vale la pena andare….a presto,

il vostro Zane

PS: qua manco il tempo di farne una che…… toccherà farne un’altra!

 

 

 

 

 

 

Un pensiero su “Stelvio Ultra Trail

  1. Entusiasmante da leggere….anche perché non faccio fatica! Deve essere bello passare dalla sofferenza alla gioia.
    p.s.
    se ti è passato il mal di pancia, vuol dire che mangiare mele fa bene.

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