ALPAGO-PRESCUDIN

Agriturismo Pian Formosa- Forcella Grava Piana – Bivacco Pastour- Tentativo monte Pastour- Bivacco Pastour- Ex sentiero 980 verso val di Zea- tentativo forcella Antander – ex sentiero 980a- villa Emma (Prescudin)- Barcis

Come dopo ogni avventura, sono qui che penso cos’abbiamo combinato. Siamo stati bravi? Ci siamo divertiti? Abbiamo rischiato troppo? Mi piace molto ripensare alle scelte fatte, alle decisioni prese. Credo sia un ottimo modo per imparare qualcosa, per migliorare.

E’ sabato 24 ottobre e io e Igor siamo in partenza dall’agriturismo Pian Formosa (Alpago). E’ abbastanza tardi, viste le nostre abitudini, ma le previsioni non sono le migliori per sabato mattina e abbiamo deciso che non vale la pena fare levatacce. Perdiamo tempo per preparare gli zaini e prima ancora di partire ci accorgiamo di aver dimenticato diverse cose, solito insomma. Beviamo un caffè nell’agriturismo aperto e partiamo alla volta della val Salatis. Gli zaini son pesanti. Siamo attrezzati per la neve e con scorte di cibo e vestiti sufficienti a parecchie ore fuori. Iniziare a camminare è un dramma con gli zainoni ma i colori autunnali ci distraggono.

Risaliamo con calma la dolce val Salatis fino a raggiungere Casera Pian de le Stele. Un grumo di persone scende dal rifugio Semenza mentre noi prendiamo la deviazione per il sentiero 972 che conduce a Forc. Grava Piana. I nuovissimi segnavia del Cai ci guidano su un sentiero rotto, ripido e fastidioso sul ghiaione. Rallentiamo il passo e risaliamo pazienti il classico sentiero odioso e fastidioso. Smottamenti, e ghiaie poco solide sono una costante per alcune centinaia di metri. Dietro di noi si vede il mare di nuvole basse mentre in alto si nota il canale sempre più ripido e stretto. Le ghiaie sono terribili e decidiamo di risalire più a sinistra per erbe un po’ più fisse. Alla nostra destra una lingua di neve scende lunga lunga dalla cima.

Raggiungiamo il bivio dove il canale si divide. Dobbiamo risalire a destra dove la neve è presente ovunque. Decidiamo di metterci i ramponi nonostante la neve sia morbida e bagnata. Si sprofonda ma i sassi sotto e la ripidezza ci invitano a fare attenzione. Le ghette sembrano proteggerci, è un’illusione. Con passo costante e scegliendo i passi in base alle condizioni della neve, zigzaghiamo con gran fatica fino a quasi in cima. Lasciamo la neve (molto ripido) per staccarci a sinistra e risalire gli ultimi metri fino alla forcella su roccette e ghiaie che ci fanno faticare meno. In cima la vista, solo parzialmente chiusa dalle nuvole, è piacevole!

Il lato verso Barcis è pieno di neve. Mangiamo, beviamo e come sempre Igor è pronto prima di me. Scende sprofondando nella neve che ci permette una discesa poco impegnativa. Qualche caduta ogni tanto è dovuta al terreno sotto la neve che è molto discontinuo e vario. Provo a riprendere Igor mentre cade ma è attento e non mi lascia scampo. Attraversiamo verso sinistra dandoci il cambio per battere traccia. SI fa fatica nella neve. Superiamo un avvallamento e iniziamo a cercare di capire dove dobbiamo andare. Si vedono due forcelloni a sinistra più in basso e niente altro su cui sembra si possa passare. Segnavia non se ne vedono, tracce ancora meno.

Abbiamo la lucidità di guardare la cartina prima di lanciarci in discesa e ci rendiamo conto che bisogna stare alti, senza scendere troppo. Proviamo a cercare qualche segno che possa indicarci la via, ma invano. Litighiamo sulle orme che incrociamo. Chi dice che son di capriolo, chi di ramponi o ciaspe. Non lo sapremo mai.

Prendiamo un lungo traverso seguendo la conca gigantesca che fa da anfiteatro alla valle. Batto traccia muovendomi con lentezza. La neve non è abbastanza consistente da coprire il terreno e i sassoni sono una trappola micidiale. Buchi qua e là sono nascosti nella neve. Cadiamo ancora qualche volte sbilanciato da piccoli vuoti, ma in qualche modo riusciamo a proseguire. Siamo lenti e facciamo fatica, ma siamo molto divertiti. La valle e la montagna sono per voi. Solo qualche camoscio inorridito dai nostri passi goffi si fa notare qua e là.

Individuiamo una piccola forcella che sembra essere Forcja bassa, oltre la quale dovremmo passare. La raggiungiamo uscendo finalmente da questo tratto fastidiosissimo. La vista oltre la forcella è inquietante. Ripida, nevosa e immersa nella nebbia, non lascia scampo a pensieri positivi. Sembra impossibile che si passi di qui.

Guardo l’altimetro, guardo la cartina, cazzo deve essere questa per forza! Igor non è convinto, ci guardiamo indietro. La neve dal nostro lato è meno presente e se ci fossero delle tracce o dei segnavia, si vedrebbero. Non c’è nulla, zero. Igor non è convinto, anzi è convinto che non possa essere questa la via. Effettivamente, come dargli torto. Io insisto, guardo la conformazione delle montagne, la mappa, la direzione, la quota…deve essere qui. La nebbia ci impedisce di capire se il canale finisce nel vuoto o nel vallone del bivacco Pastour. Poi Igor vede qualcosa che assomiglia ad una scritta. Io daltonico, non riesco a vederla nemmeno se me la indica. Dice che c’è scritto “Biv.” Allora deve essere qui.

Decidiamo di provare a scendere, almeno fino a dove riusciamo. Poi possiamo sempre tornare su. Tiriamo fuori la picca e iniziamo la discesa. Igor batte traccia, sempre sprofondando in una neve bagnata e pesantissima. La prima parte è inclinata ma non eccessivamente. Poi il canale si fa più impegnativo sia perché si impira, sia perché diventa più duro. Igor ficca i ramponi con decisione nella neve mentre io osservo un’apertura sotto il canale. Dai cazzo, deve essere giusto! Scendiamo ancora fra ancora qualche scetticismo. In parte a noi si vedono sassi caduti e tracce di valanghe. L’ambiente è parecchio tetro. In due mi sento in compagnia. Da solo sarei già tornato a casa.

Raggiungo Igor e inizio a scendere spalle a monte. Il terreno è meno inclinato e inizio a vedere qualcosa sotto. La nebbia sparisce un attimo e riconosco i tornanti che portano al biv. Pastour! Wooooooow IGOOOOOR è giusto! Con grande eccitazione, aumento la frequenza dei mie passi scivolando nella neve. Igor mi segue ridendo. Intravediamo ora chiaramente l’uscita dal canale sull’ampio vallone. Girandoci indietro si nota quanto diavolo è ripido.

Inizia a piovere. Scendiamo ancora liberi sul pendio coperto di neve, di roccette e di valanghe. Si sentono rumori di scariche. Decidiamo di andarcene via veloci, non è granchè piacevole stare qui sotto. LA pioggia aumenta di intensità e ci copriamo. Faccio i complimenti a Igor per il coprizaino che non ha e continuiamo a scendere. Sono comunque già fradicio. I piedi immersi nella neve da ore sono zuppi. Ho freddo.

Ci fermiamo solo un attimo per decidere la via più breve per raggiungere il bivacco. Traverso a sinistra e ci allacciamo al sentiero che arriva da Villa Emma. In 5 minuti siamo dentro al bivacco. Fuori la pioggia è fitta e la visibilità è pari a zero. Via gli zaini, è ora di pranzare (sono le 14 e 15 circa). Banchettiamo, non troppo ansiosi di uscire di nuovo. Entrambi sappiamo che c’è da pensare al da farsi. LE ore di luce non sono infinite in questa stagione e dobbiamo affrontare ancora la parte in teoria più impegnativa del giro. Dobbiamo infatti risalire verso le creste del Pastour, del Brut Pass e del Monte Messer prima di scendere al bivacco Toffolon e tornare verso l’Alpago.

fase di asciugatura

Smette di piovere e pensiamo alle alternative. Siamo al limite con i tempi. Sono le 15. Forse, se non troviamo casini, riusciamo a tornare di là prima del buio. Decidiamo di provarci. Impacchettiamo gli zaini nuovamente e cerchiamo la traccia che risale il canalone verso il monte Pastour. Ma quale traccia?? Cerchiamo, osserviamo, proviamo. Non c’è un cazzo. E’ chiaro dove bisogna andare, ma non si capisce come e per dove. Questo comunque non è un problema, almeno per il momento. Fra neve, erbe, larici e mughi, ci alziamo di quota ed entriamo nel largo canale che risale imponente il pendio. Slavine ovunque, Igor batte traccia con pazienza e ricercando la via meno faticosa.

Ci districhiamo cercando una linea ideale. Mentre seguo Igor, sento l’acqua che fa ciak ciak nei miei piedi immersi nella neve. I ramponi continuano a guidarci in un terreno che più misto non si può. Ho freddo ai piedi, mentre il corpo bolle vista la sfacchinata. Il canale inizia a farsi ripido. Raggiungo Igor e gli do il cambio. La neve non è mai troppo dura e questo lascia un po’ di tranquillità. Il pericolo di volare giù fino a valle non c’è ma ancora per poco. Le pendenze aumentano e iniziamo a fare attenzione. Risalgo sul ripido mentre Igor punzecchia i miei passi sempre troppo grandi. Lo prendo per il culo.

Risalgo verso un imbuto che sembra non avere sbocchi. Di solito c’è sempre un modo per risalire, anche se non si vede. Invece arrivo ad una paretina. Non c’è neve perché è quasi verticale, mah. Provo a salire, ma è molto dritta. Igor mi mette in guardia. Entrambi osserviamo il terreno bagnato e marcio, non è simpatico. Scendo il metro che avevo salito. Studiamo un attimo. Igor prova a passare a destra. Ma è fastidioso anche lì. Non sembra particolarmente impegnativo, ma il terreno bagnato è molto infido e non ci lascia troppa sicurezza. Non mi piace. Siamo a quota 1900 e oltre. Sono le 16 e 15. Ho i piedi gelati. Pensiamo un attimo al da farsi. Ma la sensazione non è positiva.

il canale di Forcja bassa che abbiamo disceso

Abbiamo rogne e non siamo ancora nei tratti esposti o sulla ferrata che dovremo affrontare. Abbiamo 2 ore prima del buio. Per quel che mi riguarda è no. Rifletto ad alta voce con Igor. Lui dice che in alto probabilmente non c’è neve a darci fastidio. Io sono d’accordo, ma come facciamo a saperlo? Non mi pare ci siano i presupposti per tentare. Si potrebbe certo e siamo comunque attrezzati con frontale e cose per bivaccare, ma vale la pena rischiare? Riflettiamo qualche minuto sul da farsi ma alla fine prevale il buon senso. Decidiamo di rientrare. Scendiamo seguendo le nostre tracce mentre intorno a noi le nuvole sono consistenti ma ci lasciano tranquilli. Parliamo, ci confrontiamo. Sono sempre io il guasta feste, ma sono sicuro della nostra scelta. Cerco di dimostrare a Igor che siamo stati bravi anche se forse non serve.

Arriviamo al biv. Pastour intorno alle 17 e 45. La nostra giornata finisce qui. Non abbiamo voglia di tentare altre strade sapendo di finire al buio. Nel bivacco non ci sono materassi e ci sono quattro coperte. Noi siamo senza sacco a pelo ma abbiamo un sacco bivacco. Non è un Hotel ma siamo attrezzati per passare la notte “tranquilli”. Igor tenta di fare legna per accendere un fuoco fra le mie risate. Io inizio a far sgocciolare i miei scarponi stonfi e lo prendo per il culo per le scarpe di ricambio che lui non ha.

Sciogliamo un po’ di neve, beviamo un tè e ci scaldiamo. LA giornata è stata impegnativa e necessitiamo di un po’ di riposo. Siamo equipaggiati a dovere e ci prepariamo una minestra con l’unico fornellino che abbiamo. Poi ne prepariamo un’altra, poi un’altra ancora. Non so come ho fatto a convincere Igor a mangiare un litro e mezzo di minestra ma ce l’ho fatta. Sono affamato, strano! Fuori il meteo continua ad essere ballerino. Fasi di tregua si susseguono a piccole piogge. Essere in bivacco, sotto una coperta e mangiando una minestra mentre fuori piove è una figata. Roba da brividi. Per fortuna il nostro calore riscalda l’ambiente e non siamo sofferenti.

Sono le 21 e possiamo iniziare a pensare di addormentarci. O di riposarci quantomeno. Ci dividiamo le coperte. Igor si impacchetta fra coperte e sacco bivacco. Io sono il solito polentone. Poi preparo la mia cuccia. Sistemo una coperta sopra la rete e preparo la seconda per coprirmi. Poi compare una terza coperta. Ma siamo rincoglioniti? Le abbiamo contate 7 volte. Sono 5! Ormai Igor è impacchettato e quindi rubo la quinta coperta. Mettiamo la sveglia alle 6. L’intenzione è quella di partire appena fa chiaro per sfruttare le ore di luce.

Abbiamo tre alternative:

1 ritornare per dove siamo venuti. Ma abbiamo tutta la domenica a disposizione e vorremmo sfruttarla per fare qualcosa di più.

2 riprovare la via del giorno prima ma rimane il problema di come affrontare la parte alta del canale e sopra non sappiamo quel che troveremo.

3 Esplorare il vecchio sentiero dismesso 980 che passa dalla Val Tasseit (Biv. Pastour) alla val di Zea. Notiamo una vecchia traccia che da lì risale alla forcella Antander e al bivacco Toffolon. Anche qui c’è il problema del non sapere cosa troveremo.

La notte porterà consiglio ma non certo troppo riposo. Dormiamo, a tratti e senza particolare comfort. Durante la notte ci svegliamo diverse volte fra freddo e scomodità.

La Luce sveglia Igor poco prima della sveglia. Io mi poltrono ancora un po’ come sempre. Sciogliamo ancora un po’ di neve per fare un tè. Fuori è chiaro, come cazzo è possibile? Ovviamente ci siamo dimenticati che cambia l’ora. Bravi! Facciamo colazione e ci prepariamo. Abbiamo deciso di provare a passare per sotto, lungo il sentiero dismesso 980. Abbiamo letto una relazione di una persona passata pochi giorni fa, ci da un po’ di sicurezza. Non ci sono relazioni per il sentiero che sale verso Forcella Antander. La mappa sembra permettere una salita non impossibile anche se la traccia nera non promette nulla di buono. In caso abbiamo una via di uscita per un’altra traccia nera che a metà percorso scende verso villa Emma. Fatta, siamo decisi!

Siamo quasi pronti. Anzi, Igor è quasi pronto. Io ci metto come sempre 7 ore in più. Mi prende in giro mentre inizia a mettersi gli scarponi e assettarsi per la discesa. Fuori il cielo è parzialmente nuvoloso. SI vedono comunque dei bei colori con il sole che fa capolino fra le nuvole. Illumina Il Crep Nudo mentre in lontananza si vedono maestosi Duranno, Frati e Preti. Una bella visione mattutina.

Sono quasi pronto. Sto facendo di tutto per evitare di mettermi gli scarponi. Sono ovviamente ancora piombi e ho freddo solo al pensiero di metterci i piedi dentro. Preparo tutto. Poi infilo una mano dentro gli scarponi. Inorridito, la mia faccia esprime tutto il mio schifo. “Igor sei pronto? Appena mi metto sti cosi, partiamo”.

Infilo gli scarponi e siamo pronti a partire. Come al solito, polente, partiamo tardissimo. Gli zaini sembrano sempre pesanti e un giorno qualcuno mi spiegherà com’è possibile che siano pesanti uguale con quasi tutto il cibo consumato. Cazzo!

Partiamo in discesa. Dobbiamo andare a cercare il bivio per il sentiero 980. Ho calibrato l’altimetro sull’orologio. Scendiamo senza ramponi lungo il sentiero. La mattina è silenziosa. L’ambiente è isolato. Un gruppo di camosci ci osserva più in basso. Sono in tanti, dispersi nel silenzio. Anche noi siamo silenziosi, immersi in tutto ciò che ci circonda. Raggiungiamo quote più basse, i camosci sono spariti. Sembrano volati via e noi non ci siamo neanche accorti. Mentre scendiamo, sento i piedi freddi che fanno ciak ciak dentro gli scarponi. Le mani in tasca o incrociate per scaldarsi. Che bomba. Adoro tutto questo clima.

Lungo i tornanti infiniti, ci scaldiamo. Tengo d’occhio la quota per iniziare a cercare la traccia che parte sulla sinistra e che non mi aspetto troppo evidente. Ci vedo carichi, pronti all’avventura. Siamo stanchi ma nascondiamo la felicità di passare un’altra giornata in giro. Più mi guardo in giro, più percepisco quanto siamo isolati. La solitudine, quella no. Siamo in due ma è come se fossimo tutti. La presenza di Igor mi rilassa e mi permette di prendere scelte e decisioni con consapevolezza, almeno mi pare.

Becchiamo la traccia. La quota è quella giusta. Si vede che non è frequentata, ma si nota. Via!!! Uno sguardo ad Igor, un sorriso. E’ il segno dell’inizio dell’avventura.

Qualche schianto di albero e un po’ di erba alta sono solo piccoli ostacoli di benvenuto. Un po’ di cespugli colorati ci regalano scorci splendidi. Sembriamo segugi in ricerca di prede. Riusciamo a seguire la traccia senza mai incasinarci troppo. Per il momento non ci sono difficoltà e l’unica attenzione è rivolta a capire dove passare. Un paio di volte siamo costretti a fermarci per non perderci. Sbagliamo qua e la ma nel complesso non siamo mai realmente in difficoltà. Usciti dal bosco e attraversati un paio di canaloni fastidiosi e friabili, la traccia si inerpica in salita. Alla nostra destra compare il vuoto, davanti le ripidi pareti del Messer. Si percepisce in pieno quanto è impervio il posto. si fa fatica ad intuire la linea dove si passerà, meglio guardare per terra.

Incontriamo i primi cavi. Sappiamo che il sentiero è dismesso e che i cavi potrebbero essere divelti. Procediamo con calma e attenzione anche se si tratta per il momento di tratti semplici. Poi la traccia si fa ripida. Erbe bagnate da risalire e discesa su un terreno franato e cavo divelto. Decidiamo di imbragarci.

Proseguo davanti mentre Igor con passo sicuro mi segue senza preoccupazioni. Un altro traverso su terreno bagnato è un po’ con il brivido. Non c’è più il sentiero e il cavo è bloccato dalla nostra parte ma penzolante in mezzo. Il masso su cui è fissato il chiodo è penzolante nel vuoto. Mi assicuro e con un paio di mosse poco composte e dopo aver sotterrato parte di cavo, sono dall’altra parte. Igor mi segue e proseguiamo su terreno non banale. Il bagnato infatti rende la traccia infida e bastarda. I cavi sono spesso penzolanti ma riusciamo ad usarli come corda dopo aver testato la loro tenuta. Certo è che non danno una grande sicurezza.

Sempre sul ripido, solo un paio di punti critici non sono attrezzati ma li superiamo con fermezza. Una trentina di metri su prato quasi verticali sarebbero insuperabili senza i cavi e le scale di ferro piazzate sulla parete. La traccia è esposta ma diamo fiducia alle attrezzature e superiamo i tratti più impegnativi. Entriamo in una faggeta ampia e molto più tranquilla, abbastanza distaccata dall’ambiente appena affrontato. Guardo Igor e commento la difficoltà della salita. Lui fa spallucce e mi da del polentone. Ha ragione.

Proseguiamo per il bosco iniziando una piccola discesa. La traccia si fa scoscesa e stiamo molto attenti a non scivolare, potrebbe essere non scontato fermarsi. Giriamo a sinistra. Siamo in silenzio, attenti a non perdere la traccia. Sbuchiamo sopra una parete di erba quasi verticale. Igor mi dice “qui è molto verticale”. Guardo a sinistra. Praticamente un traverso nel vuoto. Non ci penso due volte “io di qui non passo eh”. Poi ragiono un attimo, è davvero troppo ripido per poter essere la traccia giusta. Così guardiamo a destra di un mugo, poi vedo dei cavi più in basso a sinistra. Igor scende con calma, di culo sulle erbe ripide. Dietro il mugo c’è un cavo penzolante. Per fortuna la parte alta è ben chiodata. La usiamo come liana per calarci (anche qui, senza cavo sarebbe quasi impossibile scendere questi dieci metri verticali. )

Giù da questo tratto ripido, inizia una serie di cenge, saliscendi e tratti esposti davvero particolare. Si aggirano una serie di canali ripidi. Che ambiente ragazzi. Il sentiero è pazzesco. Alcuni cavi ben piazzati aiutano a superare tratti altrimenti troppo impegnativi. Sembrano sempre rotti (e lo sono) ma nei punti chiave si riescono ad utilizzare più come liane che come ancoraggi. Oramai sono quasi tranquillo, so che i punti peggiori sono passati. Troviamo anche un ruscello, mentre le nuvole continuano ad imperversare sopra di noi, per fortuna senza scrosci di pioggia.

Passano ore ma non me ne accorgo. Sono talmente immerso nel viaggio che stiamo facendo che non penso al tempo. E’ figo quando è così. Ogni tanto ci fermiamo per bere, metterci o toglierci una maglia e mangiare. Finalmente la traccia si tranquillizza e ci troviamo su una traccia più tranquilla che passa sotto le pareti alla nostra sinistra. Incontriamo il bivio a destra con il sentiero 980a che scende verso villa Emma. Una scritta dice “sentiero molto ripido, solo per escursionisti esperti”. Proseguiamo.

E’ ora di cercare la traccia verso sinistra che dovrebbe portarci verso forcella Antander. Camminiamo fino ad incontrare un piccolo canale che scende da sinistra. Una scritta sulla roccia è per me invisibile ma Igor la vede e, dopo diverso tempo passato per decifrarla, decide che c’è scritto “Toffolon”. Eccola!

Guardando in alto, non si vede un cazzo. Si vedono solo pareti scoscese e ripide. Scettico, guardo verso l’alto con timore. Come diavolo fa un sentiero a salire di là? Ci fermiamo. Guardiamo la mappa. La traccia sembra passare per un canale bello largo e non più ripido di quelli già percorsi. Falsissimo. Me ne rendo subito conto e la preoccupazione sale. Comunque, ipotizziamo una linea che passa per cenge che sembrano esserci e proviamo a salire. Seguiamo il canale per poco, poi svoltiamo a destra seguendo tracce che sembrano più di animali che di persone. Saliamo fino ad arrivare praticamente sotto le pareti. Non sembra si possa passare di qua. Puntiamo a destra fino a quando finiamo dentro dei mughi, su terreno ripido. Mah, ho capito ravanare… ma sembra eccessivo.

Inizio ad essere scettico mentre Igor prosegue facendo il camoscio. Ci dividiamo, cerchiamo, saliamo, attraversiamo. Il tutto mi da fiducia pari a zero. Igor individua un possibile passaggio in alto ma a me pare molto forzato. Mi stacco a destra, il più possibile. Cerco di osservare sopra. Mi pare assurdo passare andare su. Al di là del ripido, non vedo vie di uscita, non vedo tratti semplici, vedo la neve in alto. Torno da Igor. Ci guardiamo, pensiamo, ipotizziamo. Ci sediamo, mangiamo. “facciamo il punto della situazione”. E’ passata più di mezz’ora e abbiamo fatto 100 metri.

Sono le 12 passate. Se questo è il preludio, la salita ci potrebbe riservare sorprese interessanti. Igor ride. Rido anche io, ma non per questo mi viene voglia di salire. Già mi immagino la salita incasinata, poi qualche intoppo. E come riscendiamo per ste cose ripide? Non mi entusiasma sinceramente. Ci aspettavano si qualcosa di impegnativo, ma questo sembra un pelo troppo avventuroso. Non abbiamo comunque molte alternative. O saliamo. O torniamo per il sentiero appena percorso (non proprio una cosa rilassante) oppure ci sarebbe la traccia nera che scende verso villa Emma. Da lì si potrebbe tornare al Pastour e risalire verso forcella grava piana. Una sfacchinata ma senza grossi rischi. E se scendiamo rapidi riusciamo anche a farlo prima che faccia buio. Malissimo che vada scendiamo a Barcis e siamo comunque al sicuro. Ci prendiamo qualche minuto per decidere. Igor dice che che si riesce a salire. Io sono anche d’accordo, ma è sicuramente una forzatura. Il territorio si sta dimostrando severo e non mi va di sottovalutarlo.

E’ deciso. Si scende.

Con attenzione, ci caliamo fra mughi ed erbe fino a ritornare sul sentiero 980. Risvoltiamo a destra ed arriviamo al bivio che avevamo lasciato un’ora fa. Il cartello visto in precedenza è un monito che accolgo con velocità. Qualcosa mi dice che non sarà una passeggiata scendere.

traverso ostico in discesa

Imbocchiamo la traccia che, dolce, scende nel bosco. Le foglie secche sono un bel manto su cui camminare. Ben presto però, iniziano le difficoltà. Una serie di schianti di alberi, bloccano quella che ormai non è neanche più una traccia. I segnavia, presenti, ci danno una mano fondamentale per trovare la via di discesa. Ma è un delirio. Ogni pochi metri dobbiamo aggirare qualche ostacolo e puntualmente ci perdiamo. Ogni due o tre segnavia non si capisce mai dove andare. Guardiamo la mappa, osserviamo i canali, difficilissimo. Siamo ancora in un terreno poco ripido ma si intravede poco più in là l’abisso. Sembra quasi che ci circondi.

In qualche modo continuiamo a scendere, ad aggirare canali, insenature, crinali, tutti dentro al bosco. Ci perdiamo ancora. Poi il terreno si fa ripido ripido. Foglie, fango, bagnato. E’ tutto molto severo. Ci sosteniamo trovando e ritrovando a vicenda la traccia. Ogni volta sembra che non ci sia via di uscita e invece troviamo sempre un modo per aggirare il vuoto. Poi Vedo Igor attraversare un canale in zona pianeggiante. A sinistra, poco più in là, il vuoto. A destra un traverso obliquo su traccia insignificante aggira una dorsale. Igor inizia il traverso, poi si gira e mi dice “io metto i ramponi”. Ovviamente lo faccio anche io. Il traverso è con il brivido. I ramponi nel terriccio bagnato tengono alla perfezione certo, ma la parete di terra su cui teniamo l’equilibrio alla nostra destra da sicurezza pari a zero. A sinistra il baratro. Non è simpatico per niente. Passo….. mamma mia. Fuori, ci diamo un pugnetto.

Il traverso è passato, ma la traccia è ancora ripida e l’ambiente continua ad essere severo. Ogni volta che ci sembra di essere fuori dai guai, ci sono di nuovo tratti infidi o perdiamo la traccia. Siamo iperconcentrati. Abbiamo fame entrambi ma decidiamo di non fermarci prima di uscire dai guai.

Fra una cosa e l’altra, siamo comunque scesi di quota parecchio. Eppure ancora siamo nel bel mezzo del nulla. Seguiamo i segnavia che sono l’unico modo per provare a capire dove scendere. Tentiamo di prendere un sentiero che però probabilmente ci porterebbe di nuovo in salita verso il monte a destra. Torniamo indietro. E’ snervante.

Siamo ormai quasi dentro il greto del torrente a valle ma ancora non siamo fuori dai casini. A sinistra ancora un po’ di vuoto, è ormai diversi minuti che non vediamo segnavia. Mi stufo. Ci orientiamo con quota e mappa e decidiamo di scendere attraverso il greto invece che cercare il sentiero. Poi, lo vediamo in alto alla nostra destra, come cazzo fa ad essere lì? Chissenefrega.

Nel raggiungerlo, mi scappa un urlo mentre vedo un segnavia, l’abbiamo ritrovato! Più felici che stanchi, seguiamo di nuovo la traccia giusto per poterci perdere un’altra volta. Schiviamo una trappola nel vuoto e altri schianti prima di raggiungere nuovamente il greto e il bivio con il sentiero che conduce al bivacco Val di Zea. Siamo fuori dai casini.

Siamo contenti, finalmente possiamo rilassarci, riposarci e mangiare. Sono le 15. Ci abbiamo messo 2 ore e mezza per fare 500 metri di dislivello in discesa. Una delle discese più impegnative mai fatte. Un paio di volte, ci confideremo dopo, abbiamo pensato che forse non saremmo riusciti a scendere. Davvero ostico.

Comunque, siamo fuori. Rilassati, scendiamo verso villa Emma seguendo una forestale fiabesca. I colori d’autunno sono splendidi. Il nostro passo è quello dei viaggiatori. Qualche chiacchiera ogni tanto, sguardi persi in pensieri e sogni, qualche commento idiota. Giochiamo. Bellissimo.

Arriviamo a villa Emma mezz’ora dopo. Abbiamo due ore di tempo prima del buio. Siamo preparati a tutto e pronti a diverse avventure, ma risalire a forcella Grava Piana e rientrare alla macchina sembra il classico modo per farsi male o per tirarsi la zappa sui piedi. Seguire la traccia dell’andata sarebbe possibile, anche con il buio, ne siamo sicuri. Ma vale la pena? Le due giornate sembrano essere già state impegnative e laboriose. Decidiamo che va bene così e scendiamo a Barcis dove il babbo-taxi ci riporterà in Alpago.

foresta del Prescudin

Arriviamo a Barcis alle 17 circa, dopo aver percorso un tratto di provinciale facendo il gioco della trave sul marciapiede. Abbiamo ancora tempo di scherzare, di prenderci in giro. Io mi sento appagato da due giorni pieni, vissuti. Giorni passati a vivere qualcosa, dimenticandomi della quotidianità. Senza macchina e senza portafogli, abbiamo una sete di birra che non potete neanche immaginare. Svuotiamo gli zaini, troviamo due euro a testa. Ci sediamo al bar e ordiniamo una birra in due. La signora si mette a ridere: ” ma siete senza soldi?”…. ” eh si”. Ci porta la birra divisa in due bicchieri. Che bella la vita.

La serata finirà con una pizza a Puos d’Alpago. Io, Igor e il babbo che ci ha tolto da una rogna. Ma sapete che buona che era la pizza? E la birra ancor di più.

Arriviamo a Trieste alle 22, stanchi, provati. Due giorni pazzeschi in ambienti severi. E se pensate che siano impervi e selvaggi, beh, lo sono ancor di più. Probabilmente la nostra pianificazione non è stata la migliore, ma siamo felici di aver sempre fatto scelte intelligenti, o almeno così ci è parso. E ora, mentre scrivo, continuo a pensare a quei luoghi isolati, dove i camosci passano naturalmente e dove noi fatichiamo per tornare a casa. Mi viene voglia di tornarci, magari con più tempo a disposizione e con climi più gestibili.

Se avessimo fatto così….. se fossimo andati di là… non valgono nulla. Vale la nostra ennesima, splendida e unica avventura!

A presto!

6 pensieri su “ALPAGO-PRESCUDIN

    1. Spericolato non so se è il termine più corretto! Capisco l’associazione del termine con il racconto della gita, ma noi ci siamo sentiti tutt’altro che spericolati! Anzi, in tre circostanze in cui potevamo prendere scelte più spericolate, abbiamo scelto sempre di tornare indietro!

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  1. Te son troppa roba…

    Ora sto facendo campionato per quello non ti chiamo… Devo fare 6 partite

    Vinto la prima 8 – 3 (pochi errori… e cmq quando potevo provavo a forzare)… fisicamente sto bene… Ovvio che i più bravi devo ancora incontrarli… vediamo che succede le prossime 2/3 partite e poi ti aggiorno…

    Siamo in 7 … Primi 2 vanno su e dal 3° al 6° semifinale finale incrociato… Obiettivo ovvio è centrare uno dei 2 posti

    Un abbraccio

    Calu

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