Sasso Nero (3369 mt) con nottata in bivacco invernale al rif. Sasso Nero (3026 mt)

E’ lunedì 24 febbraio e sono circa le 12. Io e Igor siamo a S. Giovanni in valle Aurina (1300 mt), pronti per la nostro gitarella. Abbiamo come programma una dormita nella camera invernale del Rif. Sasso Nero (3026 mt) e poi, a seconda delle condizioni che troveremo, la cima, una zampata in Zillertal e ritorno alla macchina. E’ il secondo giorno consecutivo che siamo qui. Ieri pioveva e dopo diversi minuti di pensieri abbiamo desistito cambiando idea.

Oggi piove di nuovo ma noi siamo fiduciosi. Le previsioni meteo parlano di miglioramenti e questa volta non ci lasciamo affliggere. Con gran calma prepariamo gli zaini per la notte in bivacco. Dopo averli messi sulla schiena, stiamo già sbuffando. Partiamo, carichi di peso e di energie. Pioviggina e non c’è neve sulla strada. Ci portiamo gli sci in spalla, muovendo i passi più sul fango che sulla neve.

MVIMG_20200224_123410
uno dei tratti del sentiero senza neve

Finalmente mettiamo gli sci ai piedi, dovrebbe essere una sci alpinistica  in effetti. Avanziamo sulla stradina fra gli alberi cercando qualche scorcio nel cielo che però è decisamente grigio. Iniziamo poi a salire prendendo un sentiero più ripido dentro il bosco. E’ un po’ un cava e metti gli sci, ma per fortuna lo sapevamo già e lo accettiamo.  Gli sci sono ai piedi definitivamente a quota 1500 mt circa. Entriamo in un canale e salendo sento un rumore forte e costante. E’ acqua che scorre potentissima fra la neve sotto di noi. Inquietante ed entusiasmante allo stesso tempo. Ne approfitto per fare un video mentre Igor se la ride come un matto. Se ne pentirà in serata! Vediamo tratti di cielo azzurro e cominciamo a batterci pacche sulle spalle. Spasimanti!

Poi, arriva il sole. Forte, potente e caldissimo, scioglie noi e la neve allo stesso modo. Proseguendo la salita, superiamo un paio di malghe e sbuchiamo fuori dal bosco al cospetto di montagne giganti. Fuori della prima malga Igor sente musica. La malga è chiusa e io mi chiedo se sono io sordo o lui matto. Ma va bene così!

In un paio di minuti la giornata diventa fenomenale. Il caldo ha sciolto la neve che è morbida e i nostri sci lasciano una scia decisa nella neve. Proseguiamo battendo traccia immersi in un sole estivo davvero incredibile. Siamo abbastanza silenziosi, concentrati nello sforzo di una gita in cui comunque abbiamo i nostri 1750 D+ da fare. Arriviamo baldanzosi alla Kegelgasslhutte dove troviamo il malgaro che lavora. Ci guarda della serie “che ci fanno questi qui a quest’ora?”.  Un tè caldo, un merendino e siamo pronti a ripartire, sempre accecati da un sole che però pian piano sta sparendo dietro le montagne.

Siamo rilassati, contenti, felici e finalmente liberi nei nostri ambienti preferiti. Il clima è sensazionale. Le montagne in parte a noi sono vuote. Qualche camoscio lontano non apprezza la nostra visita, non c’è vento e non fa freddo. Verrebbe da sedersi e stare qui ad oltranza ma non abbiamo tutto questo tempo. Sebbene conosciamo il percorso, vorremmo arrivare prima del buio al rifugio. Siamo ormai sui 2300 mt quando il sole si nasconde dietro le alte pareti rocciose alla nostra sinistra. Io, bimbo felice, batto traccia facendo zig-zag su pendii mediamente pendenti. Igor mi segue brontolando contro la mia traccia troppo ripida. Mi difendo dicendo che c’è sicuramente qualche tedesco che la farebbe ancora più ripida. Sembriamo polentoni ma tutto sommato andiamo su di buona lena. Fra una foto e l’altra, procediamo costanti verso l’alto imbottigliati in un vallone ondulato oltre il quale non si vede molto.

Dietro di noi invece il panorama inizia già ad essere invidiabile. Le ore passano e noi siamo sempre più stanchi. Alle 16 e 30 circa vediamo il nostro rifugio. Gli ultimi pendii sono quelli del “ormai è fatta”. Ci strascichiamo continuando a battere traccia nella neve ora un po’ più dura. Il freddo infatti sta facendo capolino e dobbiamo coprirci un po’ di più. Ormai però siamo eccitati e ci lanciamo verso il rifugio con super entusiasmo. Alle 17 e 15 circa siamo davanti alla gigantesca e nuova costruzione. Mentre io faccio le solite 100 foto, Igor è talmente felice che si dimentica da che parte si trova la camera invernale. Entriamo salendo le scale buie ed illuminando con la torcia l’interno. E’ vuoto di persone ma pieno di coperte, per fortuna!

MVIMG_20200224_163506
Il rifugio Vittorio Veneto al Sasso Nero visto dall’arrivo della valle di Riotorbo

La gioia nell’essere da soli in questo posto unico non offusca i nostri pensieri. Decidiamo di uscire subito in esplorazione per guardare l’inizio della salita verso la cima. Calcoliamo il tempo che abbiamo a disposizione prima che faccia buio e ci incamminiamo con i ramponi ai piedi ancora un po’ in salita. Ci avviciniamo a quello che si rivelerà essere il punto critico. Per accedere al ghiacciaio infatti bisogna superare la salita ripida a Punta del Balzo (3219 mt). Non ci sono altre vie che sembrano percorribili dato che ai lati del roccione ci sono cornici un po’ troppo grandi. Ci avviciniamo quindi alle parti ripide dando sempre uno sguardo a quello che nel frattempo compare dietro di noi.

Alla base del tratto impegnativo Igor dice: “mi sembra fattibile”. Io evito di dire la mia e cerco di non preoccuparmi inutilmente. Scendiamo così verso il rifugio per cenare e rilassarci un po’. Nel frattempo il sole è sceso e la luce sempre meno forte colora il panorama sempre più limpido e da favola. Sono ormai le 18 passate. In giro non c’è anima viva a parte noi e sembra di essere abbastanza in paradiso. Entriamo in bivacco e cerchiamo di sistemarci. La stanza è grande (ci sono direi 10 posti letto) e il tavolino di legno è affacciato su una finestra. Mancano delle sedie e ci arrangiamo con un letto e una struttura in equilibrio stabilissimo formata da due caschi con sopra tre coperte.  E’ ora di cena e prepariamo le nostre minestrine sciogliendo la neve che abbiamo raccolto con alcuni sacchetti. Inizia il cabaret e scoppiamo ripetutamente a ridere senza particolari motivi. Igor cade per terra e viene preso per il culo senza esitazioni.

La cena è un vero godimento. Una minestrina di tre porzioni a testa e svariati bicchieri di tè caldo aiutano il nostro corpo a rimanere al caldo. La temperatura è incredibilmente alta per essere a 3000 metri in inverno: 2 gradi in bivacco. Nonostante questo non è proprio il massimo stare seduti e fermi in questo clima. La serata comunque passa senza grossi patemi, anzi. Ci divertiamo come matti. Si vede che siamo felici, nel nostro clima ideale.

I problemi arrivano prima di andare a letto perché ci ricordiamo di dover uscire per andare in bagno. Sarebbe infatti deleterio doverlo fare durante la notte uscendo dal tepore che i nostri sacchi bivacco manterranno. Con grande forza mentale, usciamo dal rifugio. Imbacuccati come pinguini (almeno io), osiamo aprire la porta. Ci investe un venticello che non promette niente di buono. Andiamo dietro al rifugio aggirando la parte lunga della struttura con le nostre luci che illuminano la neve durissima. Igor mi dice: “spegni la frontale”. Ed ecco la magia: il cielo è stellato. Ma stellato che voi neanche potete immaginare. La quantità di stelle che vediamo è incredibile. Solo in montagna ho avuto la fortuna di poter vedere cieli così e anche oggi è una di quelle notti. Non ci sono nuvole. Solo stelle. Grandi, piccole, luminose, attaccate, solitarie. Si vede anche la via lattea. Spettacolare. La pipì migliore di sempre 🙂

Il rientro in bivacco è l’occasione per una nuova sfida. Abbiamo dei nuovi sacchi bivacco da sperimentare. Fatti con materiale da telo termico per le emergenze, dovrebbero mantenere il caldo del nostro corpo. Così eccoci, prima delle dieci di sera, pronti ad andare a dormire.

Entro nel mio sacco lenzuolo parzialmente vestito. Una calzamaglia, un paio di calzini, una maglia termica, una in lana merino e un cappello in testa. Metto sopra tre coperte e mi infilo all’interno del sacco bivacco. Così non dovrei avere troppo freddo, penso. Freddo? Dopo 5 minuti effettivamente mi accorgo di non stare affatto male. Dopo 10 penso: “ho quasi caldo”. Dopo 15 minuti sto bollendo. Inizio quindi a tirare via pezzi di vestiti. Prima la calzamaglia, poi i calzini, poi la maglia in merino, poi il cappello. Ma che caldo fa?  Ma com’è possibile? Poi mi viene in mente che potrebbe essere il sacco bivacco che tiene un caldo assurdo e metto la mano fra il sacco e la coperta più alta per spostarla. La coperta è completamente bagnata! Schifooo!! Mi rendo conto che il sacco è sostanzialmente una pentola a pressione in cui tutto dentro cuoce lentamente… inizia un valzer per capire come poter dormire serenamente senza morire di caldo o di freddo. In tutto ciò passano i minuti e nella mia testa anche le ore. Non dormo molto e continuo a fare ghirigori con coperte, sacco bivacco e vestiti. Poi Igor accende una luce: “sei sveglio anche tu?”  ” si, ho un caldo boia”. Insomma nessuno dorme. Il sacco bivacco sparisce dalle mia vicinanze e in un modo o nell’altro, chissà dopo quando, riusciamo ad addormentarci.

La mia sveglia è alle 6. Mi sono ripromesso di uscire a vedere l’alba. Non posso perdermi quest’occasione, a queste quote e in questo luogo. Alle 5 e 55, durante una delle centosettanta occhiate all’orologio durante la notte, decido di spegnere la sveglia per evitare di svegliare Igor. Guardo fuori dalla finestra. E’ buio ma si intravedono i primi chiarori. Aspetto ancora un po’. Tutto sommato sotto le coperte si sta bene 🙂

Poi, con grande atto eroico, esco dal mio fortino notturno. In 14 secondi mi sono già messo addosso calzamaglia, calzini e tutte le maglie che ho con me.  Scendo dal letto a castello e metto su immediatamente pantaloni e scarponi. Igor si sveglia e mi dice che mi raggiungerà fra un po’. Su la giacca, la frontale, i guanti e sono pronto ad uscire. Pronto? Ma come si fa ad essere pronti per vedere un’alba del genere? Il sole è ancora lontano dal comparire fra le creste ad est, ma i colori sono già vivaci, forti, diversi.

MVIMG_20200225_062659

Scopro un mare di nuvole basse che ricopre la valle Aurina sotto di noi. Il rosso si mescola con l’arancione e mille altre sfumature che non sono in grado di descrivere. Non fa nemmeno troppo freddo. Che spettacolo incredibile. Gironzolo fuori dal rifugio cercando l’angolo migliore per ammirare quello che ho davanti. Mano a mano che il tempo passa, il sole modifica i colori e inizia a dipingere anche le nuvole sopra il rifugio. Ora non so dove guardare. Guardo Igor che esce dal rifugio. Poi di nuovo le nuvole, le montagne, il sole. Aspetto con ansia che esca sopra le montagne.

Poi, esce. Mi illumina immediatamente. Sembra solo filosofia ma non lo è. Sento il caldo dei raggi ed è semplicemente figo. Amo l’inverno anche perché apprezzo molto di più il sole. Poi, dopo le favole, è ora di tornare alla realtà. Rientro nel bivacco dove Igor ha già iniziato a scaldare il tè e ha già fatto lo zaino.  Il solito maiale. Vuole sempre farmi sentire l’ultimo e il più lento. Effettivamente è sempre così. Una colazione fatta di biscotti e tè caldo, una pulita al nostro dormitorio e siamo pronti a partire.

Abbiamo modificato un po’ i nostri piani. La toccata e fuga in Zillertal l’abbiamo scartata per via delle condizioni della montagna non proprio ottimali e per la mancanza di tempo. Decidiamo quindi di tentare la cima del Sasso Nero con il materiale minimo indispensabile. Non ci portiamo nemmeno gli sci. Siamo dispiaciuti ma sarebbero sicuramente più un intralcio che un piacere. Usciamo dal rifugio e iniziamo il nostro tentativo intorno alle ore 8. Ramponi ai piedi e bastoncini in mano, ci incamminiamo verso le nostre tracce del giorno precedente. Immaginando la fatica, siamo vestiti ma non troppo. Arriviamo nelle zone sottostanti la Punta del Balzo e, per non smentirmi, piazzo un “prendiamo la picca?”. Igor mi ignora e prosegue la salita sulla via del sentiero estivo che si fa sempre più ripido. Ad un certo punto la via si fa troppo erta ed eccoci con un bastone e la piccozza pronti a questi 100 metri di tratto impegnativo. Dietro di noi intanto, lo spettacolo è nuovamente fenomenale.

MVIMG_20200225_090639

Muovo i piedi su uno strato bianco che non sembra molto profondo. I piedi entrano su una neve davvero poco consistente. Sembra marcia, foffa, sciolta, farinosa. Non mi da troppa sicurezza e azzardo un secondo avvertimento nei confronti di Igor: ” Ma Igor, com’è sta neve secondo te?”. ” mah, così!”. Bene, almeno ho la certezza che anche Igor è consapevole di dove stiamo salendo. E’ una decina di metri sopra di me e mi fermo. Penso un attimo sul da farsi ma dopo poco mi rispondo che ho voglia di proseguire. Non mi va di fermarmi qui. Lo raggiungo e chiacchieriamo un attimo. Dobbiamo fare attenzione perché si sale in obliquo e la neve sotto di noi, oltre a non essere eccezionale, non copre del tutto la roccia e la ghiaia sottostanti. Ogni tanto i ramponi beccano sassi, ghiaino e placche che non sono per nulla incoraggianti.

IMG-20200225-WA0018
tratto impegnativo in salita. Le rocce, quando non danno fastidio sotto i piedi, si usano come ottimi appigli.

Seguendo le orme del mio fido capo gita, mi inerpico sempre più verso l’alto. Dobbiamo ora fare un traverso verso destra per uscire da questo pendio ripido. Con sempre grande attenzione usciamo dal tratto sicuramente più impegnativo della salita.

Di là ci aspetta un altro paradiso. Un mare di neve si estende in qualcosa che sembra infinito. Il ghiacciaio del Sasso Nero non è certo gigantesco, ma è esattamente questa l’impressione che fa. Imbambolati, scendiamo venti metri per raggiungere il livello del ghiacciaio. Decidiamo di attraversarlo subito per arrivare in cima tramite la cresta ovest che sembra la più accessibile. Attraversiamo il mare a volte distanziati, a volte uniti, mai legati. E’ tutto tranquillo. Ogni tanto mi perdo in foto, video e mille sguardi ovunque.

Da qui la gita diventa qualcosa di clamoroso. La cosa più assurda e che non si vede niente in giro. Nessuno. Persone, impronte, esseri viventi…. nessuno. Pare che sia tutto deserto e per questo è davvero affascinante. Igor batte traccia fendendo la neve abbastanza dura con i ramponi. Arriviamo dall’altra parte e risaliamo a sinistra una spalla che ci porta dritti in cresta, senza particolari difficoltà.

Si vede giù, ma che roba è? Qui la neve è decisamente diversa, dura. I ramponi hanno presa eccezionale. Igor procede lungo la cresta dove non dobbiamo fare altro che camminare facendo attenzione. A sinistra ci sono salti di roccia troppo grandi verso il ghiacciaio, a destra la cornice finisce in un vuoto di centinaia di metri di dislivello. Ma la cresta è larga e alle 9 e 50 di mattina siamo in vetta al Sasso Nero (3369 mt). Un grande abbraccio e un urletti di gioia esprimono tutta la nostra felicità. Intorno a noi si vedono montagne di tutti i tipi. Sembrano piccolissime eppure non lo sono. Lo sguardo vola di qua e di là e si sofferma anche sulle valli lontanissime. Tutte coperte di un mare di nuvole. Anche questo abbastanza surreale.

Osserviamo ammirati tutto questo splendore bevendo un goccio di tè e mangiucchiando qualcosa. Non c’è vento e ci sono -5 gradi che misuro grazie al termometro rubato al babbo. Sarebbe proprio da stare qui sopra per una settimana, altro che qualche minuto.E noi… poco felici!!

IMG_20200225_095454

Dopo diversi minuti in cui siamo catatonici, torniamo a vivere il presente e osserviamo le nuvole sopra e sotto di noi. Il meteo non sembra volgere al meglio e decidiamo in breve tempo di scendere. La cosa importante è uscire dal ghiacciaio prima che venga ricoperto dalla nebbia. Sarebbe più o meno impossibile ritrovare la via di casa. Il tempo c’è ma decidiamo di non rischiare ed iniziare subito la discesa. Per evitare di rifare tutto il giro per la cresta ovest e attraversamento del ghiacciaio, decidiamo di tagliare per la cresta est (via normale) in modo da trovarci subito sul lato giusto per scendere. Iniziamo la discesa su una neve ancora dura e ottima. Nei primi tratti ci facciamo largo fra massi grandi che scendono verso il tratto breve ma ripido della cresta. Igor mi precede e io lo seguo. Siamo tranquilli, qui sembra tutto “facile”. Ci giriamo per superare il tratto più delicato prima di scendere per una rampa di neve sul ghiacciaio.

IMG-20200225-WA0017

Rientrando verso Punta del balzo diamo un’occhiata ad un forcellone che ci farebbe guadagnare un sacco di tempo tagliando di molto la strada. Troviamo però un cornicione gigante e la neve è più ghiaccio che pietra. Decidiamo quindi, nonostante le mie lamentele e i miei dubbi, di riscendere da Punta del Balzo. Risaliamo fino alla cimetta e siamo pronti ad affrontare di nuovo il tratto delicato. Igor è sempre davanti e nonostante non ne abbia bisogno, gli raccomando di fare attenzione. Attacchiamo il traverso e vedo Igor non seguire le tracce dell’andata ma scendere più verticale seguendo un canale di neve piuttosto evidente. E’ molto più intelligente che scendere in mezzo alle rocce fastidiose.

Prima o poi però, dobbiamo attraversare questo canale che finisce nel vuoto e rientriamo verso destra arrivando nei punti fastidiosi. Con grande calma e qualche chiacchiera, scendiamo decisi e sicuri. La piccozza aiuta più per l’equilibrio che per la tenuta visto che la neve è sempre poco consistente. Ci aiutiamo appigliandoci un po’ alle rocce un po’ facendo affidamento ai tratti con neve più abbondante. Siamo quasi fuori dai guai.

Gli ultimi tratti di discesa ripida passano indenni e siamo finalmente fuori dai pericoli. Torniamo spalle a valle per rientrare verso il rifugio con camminata lenta e soddisfatta. Che gioia, che bello. Alle 11 e 15 siamo di nuovo seduti davanti ad un bicchiere di tè caldo, ancora! Chiacchieriamo beati della nostra incredibile avventura. Incredibile per tutto il suo insieme. La sensazione più assurda è la sensazione di grandezza e solitudine che abbiamo percepito. Come ormai abbiamo capito, siamo e saremo soli anche oggi. Ci prendiamo un po’ di tempo per riposarci pur sapendo che le nuvole basse saranno un problema da affrontare comunque. Ce la raccontiamo mentre guardiamo l’ora e infiliamo tutto il materiale che avevamo lasciato in bivacco.  Ecco che i nostri zaini pesano di nuovo un sacco…. aaaaaaaa!

Alle ore 12 e 30 circa siamo pronti a ripartire, sci ai piedi, verso la macchina. Sono già preparato ad una neve dura e una sciata non fantastica. Le gambe non sono peraltro molto fresche. Pronti via e dopo 4 metri sono già per terra. Mi sono dimenticato di settare gli scarponi in modalità discesa. Cominciamo bene. A sorpresa invece, i primi pendii hanno una gran neve. Soffice sopra, permette una gran sciata nonostante una visibilità non ottimale. I casini però stanno per arrivare. Siamo ormai al limite della nebbia. Entrarci è da film horror. Improvvisamente si perde il senso dell’orientamento, non si vede nulla. Ci fermiamo uno in parte all’altro. Decidiamo di cercare le nostre tracce dell’andata per non finire chissà dove. Siamo dentro un vallone quindi teoricamente non ci si può perdere. Ma c’è qualche salto da superare e qualche canale da evitare e non possiamo permetterci stupidate. Scendiamo alternando derapate a curve strette seguendo i zig-zag infiniti fatti in salita.

MVIMG_20200225_125146
Igor nel mix fra neve e nebbia

La sciata non è una sciata. Dobbiamo quasi stare attenti a non cadere, da fermi. Perdiamo l’equilibrio un paio di volte in questo mix impressionante. Incredibile come possano cambiare le condizioni della montagna sulla neve e con la nebbia. Fa pensare. Noi comunque sappiamo, più o meno, dove siamo e non siamo particolarmente preoccupati. Arriva infatti presto la Kegelgasslhutte. Ritroviamo il malgaro che lavora e ritroviamo anche una visibilità quantomeno accettabile. Non dobbiamo più preoccuparci almeno di cascare per terra. Capire dove andare invece è ancora importante.

Superiamo la seconda malga e siamo pronti ad entrare nel bosco per un po’ di rock ‘n’ roll. Pronti via e anche Igor finisce per terra. Ci diamo il cambio con grande costanza. Lui però vuole sempre essere protagonista e perde uno sci chissà dove nella neve marcia. Scaviamo con la pala per ritrovarlo, fa molto ridere. Continuiamo poi la nostra discesa che diventa una lotta per portare il culo intero a casa. Ormai le gambe sono stanche, di fatto stiamo scendendo dai 3369 mt ai 1300 mt di S. Giovanni. Siamo anche preparati a toglierci gli sci in discesa per qualche pezzo ma la sorte e la nostra pigrizia fanno si che troviamo pertugi anche dove non ci sono e tiriamo via gli sci solo a 100 metri dalla macchina. Ed eccoci allora, in parcheggio, stanchi e provati. E al settimo cielo. C’è grande soddisfazione e grande gioia nell’aria. Un altro abbraccio, una stretta di mano, un cinque. Non ricordo. Ricordo la sensazione bellissima di aver vissuto, ancora, due giorni unici.

E adesso, ripensando a quei giorni, mi viene difficile ricostruire l’esatto piacere che ho provato. Per questo, credo, siamo in continua ricerca di avventure, esperienze e momenti che ci facciano emozionare. Sappiamo cosa si prova. Ho molta nostalgia, spesso, di queste giornate. E’ per questo che scelgo di provare a ripeterle.

E un grazie, l’ennesimo, a Igor che condivide con me lo stesso spirito a la stessa voglia di vivere la montagna. Mi pare che, ancora una volta, abbiam fatto la magata!

Alla prossima,

Zane

 

Lascia un commento